Televisione e chef: nessuna informazione sull’origine dei prodotti, a cominciare dal grano duro della pasta. In Italia lotta al ‘caporalato’ e silenzio sui ‘caporalati’ dei Paesi che esportano da noi

Antipasti, primi, secondi, frutta, dolci vengono preparati con “materie prime” sulla cui origine non viene data alcuna notizia

Ieri, per caso, ad ora di pranzo, mentre con il telecomando della televisione cercavamo un film, ci siamo imbattuti in una delle solite trasmissioni di chef. La cosa che, ancora una volta, ci ha colpiti è la totale assenza di informazioni sui cibi che vengono cucinati. Tutti i prodotti vengono definiti con parole orribili: “materiale”, “materia”, “materia prima”. Antipasti, primi, secondi, frutta, dolci vengono preparati con “materie prime” delle quali non viene data alcuna notizia. Ci sono antipasti di carne, di pesce, di vegetali, ma non si dà alcuna spiegazione sulla provenienza di questi prodotti. La prima domanda dovrebbe riguardare i cereali e, segnatamente, il grano. I derivati del grano duro entrano a far parte degli antipasti, dei primi, dei secondi e – almeno in Sicilia e nelle altre Regioni del Sud è così – anche dei dolci. La pasta, ad esempio, con quale grano duro viene preparata? La legislazione italiana impone che la pasta venga preparata con il grano duro, ad eccezione della pasta all’uovo. Ebbene, possibile che nelle trasmissioni televisive dedicate alla cucina non ci sia un accenno alla qualità e, soprattutto, alla provenienza del grano duro con il quale viene preparata la pasta?

Con quale grano viene preparato il pane dal quale si ricava la mollica che entra in tanti piatti ‘stellati’?

Come possiamo notare, in questa ‘presentazione’ dei piatti di pasta la televisione rispetta alla lettera gli ordini perentori del pensiero dominante che, attenzione, ha poco o nulla a che vedere con la politica italiana che, al pari dei cittadini italiani, deve obbedire a tali direttive. Non bisogna fare sapere ai cittadini da dove arriva il grano duro con il quale viene preparata la pasta. Lo scorso anno l’Italia è stata letteralmente invasa da grano duro canadese, grano duro ucraino e grano duro russo. Ma queste notizie debbono restare tra gli addetti ai lavori: guai a informare i cittadini italiani sull’origine del grano duro con il quale viene prodotta la pasta. In queste trasmissioni di chef non si parla mai di pane, al massimo spunta la mollica di pane per qualche preparazione: anche in questo caso, silenzio assoluto sull’origine del grano duro con il quale viene preparato il pane dal quale verrà poi ricavata la mollica. Idem per i dolci di Sud Italia e Sicilia che, in qualche caso, hanno alla base farina di grano duro o, comunque, farina di grano duro mescolata con farina di grano tenero: silenzio assoluto sull’origine di tali derivati del grano.

Disinformazione sul grano tenero, cereale indispensabile nell’industria dolciaria. Il ‘caso’ farina di Manitoba

Il grano tenero apre un immenso portone: l’industria dolciaria che in Italia è basata sul grano tenero. Ormai da anni l’Italia è invasa da farina di grano tenero Manitoba prodotto in Canada. Uno dei motivi per i quali nel Centro Nord Italia si è ridotta la coltivazione di grano tenero è legato proprio alla presenza di questa particolare varietà di grano tenero canadese. Avete mai sentito parlare in televisione della farina di grano tenero Manitoba? Avete mai sentito parlare in televisione del grano tenero Manitoba? Eppure, ribadiamo, buona parte dell’industria dolciaria italiana, là dove è richiesta la farina di grano tenero, utilizza la farina di Manitoba. Non sappiamo, di preciso, in che quantità la farina di grano tenero Manitoba, nel Centro Nord Italia, ma anche nel Sud Italia e in Sicilia entri anche nella produzione del pane. Sappiamo che la farina di Manitoba viene molto utilizzata nei cosiddetti prodotti lievitati. Nei programmi televisivi di cucina non si parla quasi mai di pane, ma la mollica di pane, ribadiamo, entra in tante preparazioni, così come la farina entra nella preparazione di tanti dolci. A proposito dei dolci, abbiamo seguito qualche trasmissione di cucina legata ai dolci: ebbene, l’argomento provenienza delle farine per la preparazione dei dolci non viene nemmeno sfiorata!

Certo, è scandaloso pagare un lavoratore dei campi 4 euro l’ora. Ma è ancora più scandaloso pagare un lavoratore agricolo 4-5 euro al giorno e importare da questi Paesi i prodotti agricoli raccolti da questi nuovi schiavi

Ma non c’è solo il grano. Nelle trasmissioni di cucina si parla di pomodoro, fresco e trasformato. Ma non c’è alcun accenno alla provenienza del pomodoro. Facendo finta di non sapere che l’Italia è invasa da pomodoro fresco e trasformato estero, cinese in testa. Proprio sul pomodoro di pieno campo (il pomodoro che si coltiva nei campi, da distinguere dal pomodoro che si produce in serra) in Italia è in corso una legittima battaglia contro il cosiddetto ‘caporalato’, ovvero lo sfruttamento dei lavoratori extracomunitari. Viene legittimamente considerato scandaloso che tali lavoratori vengano pagati in nero 4 euro l’ora. Ma si dimentica che, in media, nei Paesi che esportano pomodoro fresco e trasformato in Italia, i lavoratori vengono pagati non 4 euro l’ora ma 4-5 euro al giorno in nero! Eh sì, il discorso dominante non ha interesse a far sapere questi ‘particolari’. Al discorso dominante – in questo caso alla massoneria deviata che governa l’Unione europea – interessa sbaraccare i campi di grano e anche i campi di pomodoro per piazzare pannelli fotovoltaici. Così la legittima lotta al ‘caporalato’ diventa paradossalmente funzionale al progetto criminale ‘europeista’ di trasformazione dei campi di grano e dei campi di pomodoro in immense distese di pannelli fotovoltaici. Dovremmo parlare della carne, oggi in buona parte importata, degli ortaggi importati, della frutta importata, del latte importato ma non basterebbe lo spazio. Quello che vogliamo segnalare è la disinformazione sui cibi che arrivano sulle nostre tavole e l’ipocrisia di coloro i quali combattono il ‘caporalato’ in Italia, ignorando i ‘caporalati’ autorizzati dei Paesi che riempono l’Italia di prodotti agricoli freschi e trasformati. (sopra, foto tratta da Il Riformista).

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