Si possono ancora sculacciare i bambini un po’ biricchini o si rischia di essere accusati di violenza sui minori? Insomma una sculacciata o uno schiaffo vanno considerati come aggressione criminale?

di Nota Diplomatica

Una questione complicata, soprattutto nel nostro tempo

Di fronte al colpo al cuore subito dal perbenismo internazionale dopo l’elezione alla Presidenza USA di Donald Trump, c’è invece un nuovo trionfo dei ‘buoni’ nel mondo. Otto Paesi hanno ora deciso di aderire al patto internazionale – già condiviso da altri 67 Stati – che vieta la ‘punizione corporale’ dei minorenni, a partire esplicitamente dalle sculacciate. I governi di Panama, Kirghizistan, Uganda, Burundi, Sri Lanka e Repubblica Ceca hanno annunciato che vieteranno totalmente ogni forma di punizione fisica per i minori; mentre Gambia e Nigeria si sono impegnati a farla cessare almeno nelle scuole. In Italia invece non si trovano molte tracce sull’argomento, se non in una vecchia sentenza della Corte Suprema risalente a 1996 che ‘invitava’ il Parlamento a legiferare sul tema – un invito mai accolto. In questo gli italiani sembrano somigliare agli americani, tendenzialmente restii a permettere allo Stato di intervenire nella ‘gestione familiare’ se non in casi di evidente violenza criminale, già coperti da altre leggi esistenti.

La verità è che l’argomento è un ginepraio tremendo

In parte, il problema è di tipo burocratico/legale, legato alla difficoltà di definire con precisione la natura del crimine. Una sculacciata o uno schiaffo vanno considerati come aggressione criminale? La risposta convenzionale è “dipende”… ma da che cosa? Alcuni Stati vietano qualsiasi forma di dolore come meccanismo disciplinare, altri permettono schiaffi e sculacciate, ma solo a mani nude ‘aperte’ e senza l’ausilio di strumenti come cinghie o spazzole. Già il concetto di ‘sculacciata’ è difficile – o almeno imbarazzante – da definire in termini legali. Fa differenza se le ‘chiappe’ sono nude o vestite? La parola ‘gluteo’ sta male in un disegno di legge, bisogna dunque trovare il modo di ‘glissare’. Il dolore, poi, è solo ‘fisico’? Conta il dolore ‘emotivo’? Ai bambini ‘cattivi’ si può ancora sgridare e dimostrarsi ferocemente arrabbiati? Nel concreto, tutta la questione è un ginepraio tremendo.

In questa storia si ‘infilò’ anche l’ONU

È forse per questo che gli enti promotrici di questi divieti spesso esibiscono forti tendenze burocratiche, sfornando  acronimi chilometrici à gogo. Un esempio per tutti è l’organizzazione denominata “GITEACPOC” – “Global Initiative To End All Corporal Punishment Of Children” – fondata nel 2001 con lo scopo di promuovere una campagna mondiale per il divieto di ogni forma di punizione corporale, comprese le più leggere, sui minori. GITEACPOC è stata un’interlocutrice primaria su questi temi della galassia ONU, UNICEF, UNESCO e di altre entità sovranazionali come il Consiglio d’Europa. L’ONU infatti, in uno studio del 2008 dedicato alla violenza sui minori, fissò per il 2009 l’entrata in vigore di una proibizione “universale” della punizione corporale – un obiettivo che The Economist all’epoca bollò come “wildly unrealistic”, ‘follemente irrealistico’…

Foto tratta da La Gazzetta del Sud

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