Sara Favarò oggi a Cefalù in occasione di un convegno scientifico della Fondazione Giglio. Noi ricordiamo il vero significato della ballata ‘Vitti ‘na crozza’ illustrato dall’artista siciliana

Abbinare un convegno scientifico con la presenza di una grande artista è un fatto importante
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Oggi la brava e poliedrica artista siciliana di Vicari, Sara Favarò, scrittrice, poetessa, cantautrice e giornalista è a Cefalù con il suo Il Coraggio delle donne, ospite della Fondazione G. Giglio di Cefalù. L’evento è stato organizzato dalla citata Fondazione in occasione del convegno “Malnutrizione e sarcopenia: il ruolo del setting riabilitativo”. Abbinare un convegno di alto valore scientifico con la presenza di una grande artista è un fatto importante che va segnalato. Per l’occasione Sarà Favarò reciterà brani tratti dal suo libro, il citato Il Coraggio delle donne.

Per caso, oggi, ci siamo imbattuti nel ricordo di Franco Li Causi, musicista siciliana del quale due giorni fa si ricordava l’anniversario della nascita. E’ l’artista che ha musicato la celebre ballata siciliana Vitti ‘na crozza, della quele sara Favarò ha illustrato il vero significato

Il caso ha voluto che oggi abbiamo letto qua e là che due giorni fa è stato l’anniversario della nascita di Franco Li Causi che, come leggiamo su Wikipedia, “è stato un musicista e compositore italiano, autore della musica della ballata siciliana Vitti ‘na crozza (qui per esteso il testo di Wikipedia su Franco Li Causi). Cos’è che lega Sara Favarò a Franco Li Causi? La celebre canzone siciliana Vitti ‘na crozza. In particolare, un testo di Sara Favarò che abbiamo letto lo scorso anno sulla pagina Facebook Stato Magna Grecia – Due Sicilie. E’ un testo nel quale l’artista siciliana illustra il vero significato della celebre ballata siciliana musicata da Franco Li Causi:

In realtà questa ballata siciliana è tutt’altro che allegra, se è vero che ricorda una grande ingiustizia perpetrata verso i minatori che perdevano la vita nelle miniere di zolfo della Sicilia

“Una triste storia tutta siciliana – scrive Sara Favarò – la ricerca di una degna sepoltura, dopo una vita di stenti e tribolazioni. La storia vera di una delle più celebre canzone siciliana Vitti ‘na crozza. Non è proprio una una canzone allegra e festosa. Tutt’altro. Il vero significato delle parole ci riporta al mondo delle zolfare, fatto di faticosissimo lavoro e di sofferenza. Una canzone che ci ricorda la sofferenza e anche l’ingiustizia di chi passava la maggior parte della propria vita nelle miniere di zolfo della vecchia Sicilia e se aveva la sventura di morire tra le viscere della terra lì restava, sepolto senza nemmeno “un toccu ‘ri campane”. Protagonista della canzone è ’na crozza, ossia un teschio. Un teschio che, attraverso il suo racconto, si fa promotore di una forte denuncia sociale, rivolta principalmente contro determinate usanze della Chiesa cattolica di un tempo. La maggior parte delle persone ha sempre ritenuto che il famoso ‘cannuni’ dove si trova il teschio, protagonista della canzone, fosse il pezzo di artiglieria cilindrico utilizzato per fini bellici, e che la canzone si riferisca ad un evento di guerra. Ma così non è; Il ‘cannuni‘ altro non era che il boccaporto delle miniere. Il testo ripercorre l’ostracismo perpetrato dalla Chiesa, incredibilmente cessato solo verso il 1940, nei confronti dei minatori morti nelle solfatare. I loro resti mortali non solo spesso rimanevano sepolti per sempre nella oscurità perenne delle miniere, ma per loro erano precluse onoranze funebri e perfino, insiste la voce del teschio, un semplice rintocco di campana, perché zolfo e sottosuolo erano simboli e dimora del demonio. La voce del teschio implora che qualcuno riservi anche a lui questa pietas, affinché una degna sepoltura, accompagnata da un’onoranza funebre che lo possa degnamente accompagnare nell’aldilà sia in grado di riscattare i suoi peccati e garantirgli una pace eterna dopo un’esistenza di stenti, contrassegnata da un lavoro massacrante in un’oscurità permanente”.

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