Ricordiamo la strage di via D’Amelio con l’uccisione di Paolo Borsellino e i cinque agenti della sua scorta in un momento storico in cui dalle nebbie del passato riaffiorano nuove rivelazioni

Oggi 32esimo anniversario della strage di via D’Amelio. I “gruppi di potere interessati all’eliminazione” del magistrato

Oggi ricordiamo la strage di via D’Amelio nella quale hanno perso la vita il magistrato Paolo Borsellino e i cinque agenti della sua scorta. Una strage nella quale, come hanno scritto i giudici di Caltanissetta nella sentenza sul depistaggio, si intravede l’ombra di una “partecipazione morale e materiale di altri soggetti (diversi da Cosa nostra)“. E dove c’erano anche “gruppi di potere interessati all’eliminazione” del magistrato. Quando si parla di depistaggio, il riferimento è a chi ha depistato il processo per la strage di via d’Amelio nella quale, oltre al giudice Borsellino, hanno perso la vita cinque agenti della scorta: Agostino Catalano, Emanuela Loi (prima donna a far parte di una scorta e anche prima donna della Polizia di Stato a cadere in servizio), Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina. L’unico sopravvissuto fu l’agente Antonino Vullo, che al momento dell’esplosione si era allontanato per parcheggiare l’auto. I giudici scrivono che si è trattato del “più grande depistaggio della storia d’Italia”, con un falso collaboratore di giustizia – Vincenzo Scarantino –  manovrato da uomini dello Stato italiano che lo avrebbero indotto a formulare accuse inventate di sana pianta. Sette persone, è noto, vennero condannate all’ergastolo per poi essere scagionate quando un altro collaboratore di giustizia, Gaspare Spatuzza, ha ricostruito la strage di via d’Amelio dando un’altra versione dei fatti. (Sopra, foto tratta da Wikipedia)

Le stranezze, dall’agenda rossa ai depistaggi

Tante stranezze, nella strage di via d’Amelio. Convulsa la gestione dei minuti successivi all’esplosione che ha provocato la morte del magistrato e di cinque agenti di Polizia della sua scorta; sofferte le indagini sulla strage; sofferti i processi. Sullo sfondo, l’ombra dei servizi segreti che si è materializzata in vari episodi. A cominciare dai minuti successivi alla strage, con gli uomini dei servizi segreti già presenti in via d’Amelio, tant’è vero che sono stati tra i primi a presentarsi nel luogo dell’attentato per acciuffare la borsa in cui Borsellino teneva un’agenda rossa con gli appunti sulle indagini che svolgeva. Secondo uno schema tipicamente italiano, l’agenda rossa non è stata più ritrovata. Sparita nel nulla. Anche se non manca qualche fotografia… La scomparsa dell’agenda rossa, sostengono i giudici di Caltanissetta, è il simbolo di una “verità nascosta o meglio non completamente disvelata”. E’ molto importante il passaggio “non completamente disvelata”, perché qualcosa si è capito. Altre stranezze si riscontrano nel processo che, come già ricordato, portò alla condanna di sette cittadini estranei ai fatti, finiti in galera grazie alle dichiarazioni di Scarantino. Scrivono i giudici del processo sul depistaggio: “Tra amnesie generalizzate di molti soggetti appartenenti alle istituzioni (…) e dichiarazioni testimoniali palesemente smentite da risultanze oggettive e da inspiegabili incongruenze logiche, l’accertamento istruttorio sconta gli inevitabili limiti derivanti dal velo di reticenza cucito da diverse fonti dichiarative”. Importante il passaggio che sottolinea le “amnesia generalizzate di molti soggetti appartenenti alle istituzioni (…)”. I giudici ricostruiscono il clima ostile in cui il giudice Borsellino si muoveva nel Palazzo di Giustizia di Palermo, lo scontro con il procuratore della Repubblica del tempo, Pietro Giammanco, esploso sulla gestione di un’indagine del Ros su mafia e appalti. In questo scenario, sostiene nella memoria di appello la Procura di Caltanissetta, era quella di “occultare le responsabilità esterne” a Cosa nostra.

I grandi appalti, la pista russa nella strage di Capaci e i Cantieri Navali di Palermo ricordati da Gioacchino Basile

Un altro elemento importante da segnalare è il rifermento dei giudici al rapporto dei Carabinieri del Ros (Reparto operativo speciale) su mafia e appalti. Per anni il legame tra le stragi di Capaci e di via d’Amelio con il mondo degli appalti è stato negato. Ora se ne parla: e a ragione. Nel 1992 il giudice Giovanni Falcone seguiva la pista degli appalti. Allora dei 120 mila miliardi di vecchie lire stanziati con la legge nazionale numero 64 del 1986 (legge per gli interventi straordinari nel Mezzogiorno), meno della metà risultavano impegnati e ancora meno erano i fondi che erano stati spesi. In ballo, insomma, c’era una montagna di denaro pubblico. Non è da escludere che il giudice Falcone si stesse occupando di seguire il flusso di questa montagna di soldi e anche di appalti precedenti. E la stessa cosa potrebbe aver fatto il giudice Borsellino. Il nostro amico Andrea Piazza ha scritto che “Nella strage di Capaci la mafia è stata relegata al ruolo di comparsa funzionale alla sostanziale valorizzazione scenica”. Noi concordiamo con questa tesi che, a nostro modesto avviso, non esclude lo scenario dei grandi appalti e dai grandi affari. Non a caso, dopo le stragi del 1992, sull’onda di Tangentopoli, è iniziata la svendita degli asset italiani a soggetti esteri che, con molta probabilità, non erano stati estranei alle stesse stragi del 1992. C’è un denominatore comune tra la strage di Capaci e la strage di via D’Amelio: i grandi appalti. Da ricordare anche la pista russa che sta dietro l’assassinio di Giovanni Falcone. Ne ha scritto Cesare Sacchetti in un articolo che noi abbiamo ripreso (che potete leggere qui). C’è anche la testimonianza di Gioacchino Basile, il coraggioso operaio dei Cantieri Navali di Palermo che, negli anni ’80 del secolo passato, denunciava infiltrazioni mafiose nei sabappalti ‘pilotati’ negli stessi Cantieri Navali del capoluogo siciliano. L’autore di questo articolo nella seconda metà degli anni ’80 lavorava presso il quotidiano L’Ora di Palermo e ha più volte raccontato le denunce di Basile. Che è convinto che gli affari che ruotavano attorno ai Cantieri Navali di Palermo non siano estranei ai misteri del 1992:

Una nuova stagione di rivelazioni grazie all’impegno dei figli di Borsellino e della Magistratura

Detto questo, appare chiaro che nella stagione delle stragi del 1992 ci sia stato il ruolo chiave di ‘pezzi’ dello Stato italiano. Ora lo Stato italiano, attraverso i suoi rappresentanti, può continuare a celebrare i martiri delle stragi del 1992. Alla fine, se osserviamo i fatti, solo i figli del giudice Borsellino e la Magistratura, pur tra mille difficoltà, stanno cercando di ricostruire, con risultati concreti, la verità sulle stragi del 1992. Quanto la Magistratura segnala “amnesie generalizzate di molti soggetti appartenenti alle istituzioni (…)” e una “verità nascosta o meglio non completamente disvelata” ci dà spunti sui quali è bene riflettere. Cos’ha fatto, fino ad oggi, la politica italiana per cercare la verità su queste stragi? Nulla. Cos’hanno fatto i Governi per cercare la verità su queste stragi? Nulla. Politica, Governi, partiti politici, sindacati sono espressioni dello Stato. Non c’è uno Stato italiano ‘buono’ e uno ‘cattivo’. Lo Stato italiano è uno. In questo Stato, come già ricordato, fino ad oggi solo i figli del grande magistrato con grande determinazione e la Magistratura hanno cercato la verità sulle stragi del 1992. Con la Magistratura che sta segnalando contraddizioni di altri magistrati, come sta avvenendo in queste settimane. Non è da escludere che quanto sta avvenendo potrebbe essere l’inizio di una nuova stagione di rivelazioni.

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