Predrag Matvejević: “L’Italia dovrebbe favorire l’apertura dell’Europa verso il Sud. È un Paese immerso nel Mediterraneo e dovrebbe trovare una sua prospettiva”

Quarta puntata del del volume di Giuseppe Messina “MediterraneoMar Continente liquido – La guerra del pesce e la pace normalità dei nostri sistemi”. Il trascorrere dei secoli, il progresso e le nuove conoscenze hanno ridotto le distanze geografiche e hanno ampliato i problemi di convivenza nell’area

Il Mediterraneo è uno “spazio” che associa diversità: è esso stesso formato da mari, cui corrispondono altrettante sponde, che a loro volta accolgono una molteplicità di lingue, tradizioni, ambienti, culture, fedi. Una concentrazione di civiltà ed un esempio di interazione tra popoli, territori che si affacciano, fino ad includere una fascia sublitoranea (fascia di terraferma in prossimità del litorale) larga almeno 15 chilometri, unica al mondo, che evidenzia alcune caratteristiche fondamentali dello scambio intermediterraneo, come affermato da Horden e Purcell, i quali concentrano l’attenzione su ciò che accade sulla terraferma anziché sulla superficie del mare in un innovativo approccio «microecologico» e per i quali non ci sono confini lineari, per cui la visione del Mediterraneo è dinamica. Questo mare nostro diventa poi un anello di congiunzione – attraverso il presente – tra il futuro e un passato ineludibile, attestato da un patrimonio inestimabile, plurimillenario, materiale e immateriale. Un mare tra le terre che le unisce, come un Continente fra tre Continenti, un “continente liquido” – per citare lo storico francese Fernand Braudel – che delinea un vero e proprio paesaggio unico, fatto di territori, di acqua e di genti. A tante e tali differenze, certo, corrispondono anche serie problematiche che hanno profondamente segnato, nella storia, i rapporti tra i popoli che abitano territori che su questo mare si affacciano e che questo mare lo solcano. Anzi, con il trascorrere dei secoli, il progresso e le nuove conoscenze hanno ridotto le distanze geografiche e hanno ampliato i problemi di convivenza nell’area. Pensiamo ai cambiamenti climatici e al degrado ambientale, allo sfruttamento intensivo del territorio e all’urbanizzazione, alla crisi idrica e alla scarsità di risorse, alla perdita della biodiversità e ai contrasti politico-sociali, alle pressioni demografiche e ai movimenti migratori, alla bassa scolarità e ai divari socio-economici. Questi sono tutti fattori che, negli ultimi decenni, nell’area mediterranea, hanno conosciuto un’ incremento esponenziale. (sopra foto tratta da Wikipedia)

Sono 22 i Paesi che si affacciano in questo mare

In un Mediterraneo eterogeneo, su cui si affacciano 22 Paesi di tre Continenti, il cui patrimonio culturale è come “una serie di civiltà accatastate le une sulle altre”, per citare Braudel, sono solo la scienza, la ricerca e la cultura a consentire di porre le basi della diplomazia politica, per un approccio all’internazionalizzazione e una condivisione delle risorse. Carpentier e Lebrun affermano efficacemente che, se si vuole scrivere una storia del Mediterraneo che sia davvero la storia del ‘Mare Interno’ e dei popoli che abitano i suoi bordi, i limiti geografici di quello non possono che spostarsi in funzione dei diversi periodi considerati. Nella letteratura mediterranea, un tema classico di discussione è quello dell’impossibilità di stabilire con esattezza i confini dell’area, le sue frontiere. Matvejević afferma, per esempio, che non si sa come determinare i confini stessi; mentre Braudel ha scritto di cento frontiere diverse, dipendenti dai criteri adottati nella definizione del Mediterraneo e i geografi, a loro volta, hanno a lungo discettato se la linea della vite e dell’ulivo a nord e quella della palma a sud possano rappresentare dei confini accettabili per fissare un perimetro.

Foto tratta da iStock
La realtà ‘liquida’ del Mediterraneo non ha favorito solo scambio e conoscenza, ma anche scontri e reciproche incomprensioni che, probabilmente, nei prossimi anni si radicalizzeranno ancora di più

Nell’indagare la realtà del Mediterraneo e cercare di comprendere i trend che caratterizzeranno questo spazio nei prossimi anni e decenni, è necessario analizzare uno spazio che «non è solo geografia», per citare Matvejevic: sfuggire la linearità di pensiero, la coerenza paradigmatica, e accettare la complessità, essendo disposti a essere meno rigidi e usare più lenti concettuali allo stesso tempo. Questo è l’ammonimento che, nei primi anni del nostro secolo, Raffaele Cattedra ha dato a coloro che si approcciavano allo studio del Mediterraneo e che resta valido a distanza di anni. Cattedra ha ripreso un vecchio adagio di Edgard Morin, per il quale, dissertando sul Mediterraneo, era necessario «concepire l’unità, le diversità e le opposizioni: c’è bisogno di un pensiero che non sia lineare, che comprenda sia la complementarietà sia gli antagonismi». Partendo da questo presupposto analitico, per passare all’analisi propria dei “futuri mediterranei” bisogna dare uno sguardo alla storia di questo spazio, al modo in cui la sua non-linearità si è dispiegata nei secoli e a come le sue contraddizioni strutturali abbiano modellato questo spazio storicamente liquido – utilizzando la definizione di Salvatore Bono – dove spesso il mare rappresenta una pianura liquida che favorisce lo scambio e l’incontro, e dove – riprendendo Zygmunt Bauman – si parla di una realtà “liquida” nel Mediterraneo dei nostri giorni, cioè rapidamente mutevole, incerta, contraddittoria, sfuggente ad analisi e definizioni durature. Tale pianura liquida non ha favorito solo scambio e conoscenza, ma anche scontri e reciproche incomprensioni che, probabilmente, nei prossimi anni si radicalizzeranno ancora di più.

Un Mediterraneo diverso a seconda degli occhi che lo guardano

Per citare nuovamente Morin, “il Mediterraneo esiste solo nelle nostre soggettività”: in tal senso, esiste un Mediterraneo diverso per ogni paio di occhi che lo guardano. Parlando del Mediterraneo nella sua opera monumentale, “Civiltà e imperi del Mediterraneo nell’età di Filippo II”, Fernand Braudel (foto sopra tratta da Wikipedia) descrive un Mediterraneo unito, basato su dati ambientali ed economici comuni e che hanno dato vita a società connesse, parte di un unicum mediterraneo in cui le divisioni sono artificiali e l’unità dettata dalla società e dalla geografia è ben più profonda degli eventi che provocano conflitto e divisione, nel caso di specie il confronto militare tra Spagnoli e Ottomani. Quest’attenzione per l’unità dello spazio Mediterraneo ha comportato una sorta di polarizzazione del campo degli studi mediterranei tra coloro che lo percepivano come spazio unitario, riprendendo la lezione di Braudel, e altri che invece criticavano tale approccio. La critica classica è quella di Henry Pirenne, per il quale l’arrivo dell’Islam nel Mediterraneo ha distrutto l’unità romana del mare, forzando i popoli europei del Mediterraneo a guardare verso nord; mentre, con un approccio più micro, David Abulafia rovescia la prospettiva, mettendo l’individuo – e non la struttura ambientale ed economica – al centro della vita mediterranea.

Diverse interpretazioni

Peregrine Horden e Nicholas Purcell, partendo da una prospettiva intimamente multidisciplinare, parlano di un Mediterraneo diviso in distinte micro-regioni, prodotto della peculiare ecologia del bacino, che sono definite dalla loro interazione con le altre unità di questo sistema, in ciò che i due autori definiscono connettività. In questo senso, Bernard Keyser descrive il Mediterraneo come un mare caratterizzato principalmente dall’esistenza di fratture che si dispiegano a vari livelli, ambientale, culturale, politico ed economico. Jacques Levy, nel suo lavoro sull’Europa e l’”europeanità”, descrive l’unità del Mediterraneo come un mito basato principalmente su «quattro principi di unità apparenti: natura, romanità, turismo e civiltà». Per dirla con le parole di Luigi Mascilli Migliorini, parlando della socialità nel Mediterraneo definita da specifici elementi geofisici, come la distanza mai eccessiva delle sue coste, o il clima mai particolarmente ostile: «Di questa socialità…si alimenteranno gli scambi materiali di cui questo mare sarà sempre ricchissimo, realizzando una sorta di comunità mediterranea riconoscibile da tratti del comportamento, della concezione dell’esistenza, dell’immaginario, omogenei anche al di là delle differenze di etnia, lingua e religione».

Fino ad oggi il ruolo mancato dell’Italia

Ed ancora sul Mediterraneo, l’esperienza di Predrag Matvejević e lo sviluppo del suo pensiero racchiusi nelle seguenti parole: “Guardando il Mediterraneo, rileggo la storia dell’Europa e del mondo, così come il mio percorso esistenziale: sono nato vicino all’Adriatico, a Mostar, e sul mare ho passato una parte dell’infanzia, una presenza che ha marchiato la mia biografia. Il Mediterraneo è in crisi e da tempo ha perduto la sua importanza culturale. Stiamo assistendo al predominio dei paesi del Nord: tutte le commissioni dell’Unione Europea sono collocate a Strasburgo, Lussemburgo, Bruxelles. La banca europea è a Francoforte. Il Sud si sente frustrato. Tra la sponda nord e la sponda sud si sta creando un abisso, diventato più profondo dopo l’11 settembre che ha interrotto le relazioni che esistevano prima. C’è una differenza tra la rappresentazione del Mediterraneo e il Mediterraneo stesso. In estate è un mare turistico, folla sulle spiagge, e questo fa dimenticare i problemi. L’Italia dovrebbe fare molto di più, trovare una sua collocazione nella politica europea. Diventare il capofila dei Paesi mediterranei, invece che essere l’ultima tra i Paesi continentali. L’Italia ha una credibilità che manca ad altri Paesi europei, tra cui la Francia che ha problemi con le ex colonie, la Spagna con il Marocco, la Grecia con la Turchia e il mondo musulmano. L’Italia dovrebbe favorire l’apertura dell’Europa verso il Sud. È un Paese immerso nel Mediterraneo e dovrebbe trovare una sua prospettiva».

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