Oggi anniversario delle strage di Bronte. La ricordiamo con Giuseppe ‘Pippo’ Scianò. I fatti di Bronte raccontano l’unità d’Italia in Sicilia voluta dagli Inglesi con Garibaldi, massoneria e mafia

Il libro dal quale riprendiamo alcuni passi è “e nel Maggio del 1860 la Sicilia diventò colonia” scritto dall’indimenticabile leader dei separatisati siciliani, Giuseppe Scianò. Garibaldi ladro di cavalli e scafista

Oggi è l’anniversario della strage di Bronte avvenuta il 10 Agosto del 1860. Noi vogliamo ricordare questo triste evento con un passo del volume dell’indimenticabile Giuseppe ‘Pippo’ Scianò (foto sotto): “… e nel Maggio del 1860 la Sicilia diventò colonia”. I Nuovi Vespri ha pubblicato a puntate questo libro che racconta la storia della cosiddetta impresa dei mille. La vera storia, che è molto diversa da quella che continuano a raccontare i libri di storia. La cosiddetta impresa dei mille non ebbe nulla di eroico. Fu un atto di banditismo in dispregio del Diritto Internazionale operato dagli Inglesi che hanno eliminato il Regno delle Due Sicilie in vista dell’apertura del Canale di Suez, che sarebbe avvenuta alla fine del 1869. Gli Inglesi utilizzarono Garibaldi, un personaggio che in Sudamerica era noto per essere un pirata, un ladro di cavalli e un volgare commerciante di uomini, una sorta di ‘scafista’ che rapiva cittadini cinesi per venderli come schiavi a Cuba e in Perù. In Italia Garibaldi passava per ‘rivoluzionario’ che lottava per l’Italia unità. All’inizio quello che sarebbe passato alla storia come “L’eroe dei due mondi” era vicino a Mazzini; grazie agli Inglesi, che lo comandavano a bacchetta, abbracciò la causa dei Savoia, una delle più scalcagnate dinastie europee che gli stessi Inglesi avevano scelto per ‘unificare’ l’Italia. Con un simile ‘inizio’ l’Italia non poteva che diventare quello che è oggi: “Un Paese senza”, per dirla con il titolo di un celebre libro.

Garibaldi si afferma grazie ai soldi e alle armi degli Inglesi e grazie a un’informazione corrotta, molto simile all’informazione occidentale di oggi

Grazie ai soldi e all’appoggio militare degli Inglesi Garibaldi era sbarcato a Marsala l’11 Maggio del 1860, alimentando nei ceti popolari siciliani sogni che, dopo la ‘presunta’ unificazione italiana, si sarebbero rivelati illusioni e incubi. Grazie a un’informazione simile a quella che c’è oggi nel cosiddetto Occidente industrializzato, cioè corrotta, Garibaldi e i suoi sodali avevano fatto sapere ai contadini siciliani che avrebbero avuto le terre. Questa bugia era stata messa in giro ad arte dalla Massoneria. Era una bugia necessaria a Garibaldi che, in una prima fase, aveva bisogno dell’appoggio popolare. In effetti, in un primo momento il popolo siciliano aveva creduto in Garibaldi ‘liberatore’. Ma quando i contadini siciliani si accorsero che la mafia, che allora era agricola e rappresentata soprattutto dai gabelloti, era al servizio di Garibaldi, si dovettero ricredere. I fatti di Bronte che ora lasceremo raccontare a Scianò e i fatti di Alcara Li Fusi furono i primi crimini commessi dai garibaldini contro i siciliani che avevano creduto in Garibaldi. Proprio a Bronte, cittadina alle pendici dell’Etna, la contrapposizione tra la popolazionbe locale, per la stragrande maggioranza contadini, e la nobiltà latifondista, era molto accesa. I contafini di Bronte, in particolare, contestavano gli eredi dell’Ammiraglio inglese Orazio Nelson al quale Ferdinando di Borbone, prima che i rapporti tra Regno delle Due Sicilie e Inghilterra si incrinassero, aveva regalato un’ampio terreno che era diventato la Ducea di Bronte. Su questi terreni, da sempre, i contadini di Bronte esercitavano i cosiddetti usi civici: diritto di legnatico, caccia, esercizio dell’agricoltura e via continuando. Usi civici che gli inglesi avevano revocato unitaleralmente. Avvertiti che Garibaldi era sbarcato in Sicilia “per dare la terra ai contadini”, i cittadini di Bronte avevano cominciato a ribellarsi, sobillati e strumentalizzati da personaggi equivoci che volevano pescare nel torbido. Dopo questa breve introduzione lasciamo la parola a Scianò:

Bande, banditi e picciotti di mafia preparano il terreno a Garibaldi e lo accompagnano nella ‘gloriosa’ impresa dei mille in Sicilia

“A Bronte, il 31 Luglio 1860, era esplosa una violenta sommossa che si sarebbe conclusa il 5 Agosto con il massacro di 15 persone, fra cui donne e bambini, in un contesto di violenze, saccheggi, devastazioni ed incendi mai visti in quella cittadina. Quella vicenda tragica fu ben descritta dallo scrittore siciliano Giovanni Verga, che si guardò bene, tuttavia, dall’indicarne i veri responsabili ed i veri esecutori. Anche perché la sommossa ed il massacro si erano svolte al grido di «Viva Garibaldi!», di «Viva la libertà!» e di «Viva l’Italia!». Anche i nomi di alcuni protagonisti verrà alterato. Il tutto è contenuto nella novella «La Libertà» che il Verga ebbe il coraggio di scrivere soltanto dopo venti anni dai fatti narrati”. Come possiamo notare, Verga non ci fa una bella figura: anzi. “Per capire bene la storia – leggiamo sempre nel volume di Scianò – occorre fare una premessa. Per aggregare volontari alla propria impresa e per far intendere all’opinione pubblica internazionale che in Sicilia è già divampata una inarrestabile rivoluzione contro Francesco II Re delle Due Sicilie ed a favore di Vittorio Emanuele di Savoia (che qui nessuno conosceva) e dell’annessione della Sicilia al Regno Sabaudo, gli agenti Inglesi, gli agitatori ed i propagandisti locali, presentabili e no, dell’invasione garibaldina avevano (fin da prima dello sbarco) incoraggiato bande, banditi, sbandati e picciotti di mafia a compiere qualsiasi tipo di nefandezze, purché i rispettivi reati apparissero come atti rivoluzionari. Il che era molto facile, perché le truppe Duosiciliane erano state fatte ritirare dagli alti ufficiali Borbonici traditori”. Sul tradimento dei generali borbonici, pagati sempre dagli Inglesi per spianare la strada a Garibaldi in Sicilia, torneremo in un altro articolo, quando vi racconteremo la farsa della battaglia di Calatafimi che i garibaldini non hanno mai vinto. Ma questa è un’altra storia.

Pennaiuoli di ieri e di oggi

“Fra i paesi di montagna del Catanese e del Messinese – scrive sempre Scianò – operava, in particolare, la banda di un certo Gasparazzu, oggi non bene identificabile, ma allora certamente noto come delinquente incallito, non privo di ambizioni, per il quale l’avvento garibaldino era caduto veramente a fagiuolo. Gasparazzu si era schierato, quindi, con l’Eroe in attesa di diventare eroe egli stesso. Le sue rapine dovevano, pertanto, essere compiute al grido di «Viva Canibardu» e di «Viva la Talia» (ovviamente nella pronunzia deformata di chi era abituato a parlare in Siciliano, peraltro con poca familiarità con quelle nuove parole). Ma ovviamente non si poteva andare tanto per il sottile… Cosa succede nella Ducea di Bronte? Nessuno pretendeva tanto. Neppure gli Inglesi che erano artefici e tutori dell’impresa garibaldina. Sarebbero stati – e di fatto lo erano – sufficienti i delitti compiuti ed il clima di terrore che si era venuto a creare in Sicilia per dimostrare che la rivoluzione unitaria era in pieno svolgimento. I corrispondenti dei giornali Inglesi ed i pennaioli o gli storiografi allineati con il vincitore ed infine gli studiosi in eccesso di buona fede dell’istituendo regime avrebbero trasformato il tutto in gesta eroiche ed in avvenimenti di grande significato morale e politico“. Se ci fate caso, questo modo di fare informazione l’abbiamo visto in azione durante la pandemia, quando bisognava sponsorizzare’ i miracolosi ‘vaccini’ anti-Covid delle multinazionali farmaceutiche e con la guerra in Ucraina dove Putin è il “cattivo” e Joe Biden e ora Kamala Harris sono i “buoni”.

Le promesse fasulle di Garibaldi

Entriamo nel cuore del racconto: “A questi improvvisati patrioti (e non ai veri contadini Siciliani) – scrive Scianò – Garibaldi aveva promesso, con uno dei suoi decreti-truffa, le terre del demanio di uso civico in ogni realtà comunale (con doppia quota, rispetto a quella spettante al vero contadino), senza neppure bisogno di concorso. A Bronte le operazioni per il ripristino degli usi civici e per la spartizione delle terre demaniali ai contadini, previsti dalla buona legislazione del Regno di Sicilia (e, successivamente, del Regno delle Due Sicilie), erano stati di fatto condizionati pesantemente nel 1799, allorché il Re Ferdinando aveva dato in donazione all’Ammiraglio inglese Orazio Nelson un vastissimo territorio, Maniace, gravato appunto di usi civici e trasformato in Ducea. Il titolare del Ducato era lo stesso Ammiraglio, neo-proprietario, che ovviamente era stato nominato Duca di Bronte. Un vero disastro, in particolare per i molti contadini e per i pastori nullatenenti di quell’importante area agricolo-silvo-pastorale, che nel tradizionale istituto degli usi civici avevano trovato e trovavano come vivere discretamente. Gli amministratori Inglesi della Ducea, invece, applicando arbitrariamente in Sicilia il diritto vigente nel Regno di Albione, ritenevano come inesistenti i gravami degli usi civici e tutto il corpo legislativo del Regno di Sicilia su quell’immensa azienda. I brontesi titolari di tanti diritti (pascolare, seminare, andare a caccia, fare legna, carbone, raccolte di frutti, ecc.) si ritrovarono, quindi, improvvisamente defraudati ed impoveriti. Diedero luogo, pertanto, ad una serie di proteste e di contese, anche giudiziarie, nei confronti della Ducea. Difficile, però, per i magistrati e per i funzionari del Regno fare applicare le leggi vigenti in materia ad una famiglia nobile che, anche dopo la morte dell’Ammiraglio, restava potentissima e… soprattutto Inglese”.

l’Inghilterra si mobilita per difendere i possedimenti degli stessi inglesi in Sicilia

“Le difficoltà – leggiamo sempre nel volume di Scianò – diventarono maggiori quando il Governo di Londra, da alleato ed amico dei Borbone, ne sarebbe diventato – dopo la scomparsa del pericolo napoleonico – il peggiore nemico. Un nemico potentissimo alla ricerca di qualsiasi pretesto pur di intromettersi negli affari interni del Regno delle Due Sicilie che peraltro sarebbe dovuto ad ogni costo scomparire per rendere possibile la creazione di un unico, monolitico, Regno d’Italia. Di uno Stato che si fosse esteso dalle Alpi al centro del Mediterraneo… Nel Maggio del 1860, dopo lo sbarco di Garibaldi, fu promesso che tutto sarebbe cambiato in meglio. Ed in effetti tutto cambiò. Ma in peggio. Gli amministratori della Ducea di Bronte, ben sapendo che l’Armata Garibaldina aveva operato ed operava quasi esclusivamente grazie alla protezione inglese, divennero ancora più arroganti e pretenziosi nei confronti dei contadini e dei pastori di Bronte. Era naturale che in questa loro azione scellerata fossero favoriti dalla sparuta minoranza di dipendenti privilegiati, di borghesi e di professionisti locali, che con l’amministrazione della Ducea di Bronte convivevano bene e ne traevano qualche utile particolare, anche se a danno della Comunità. Il malcontento, quindi, era salito alle stelle e non erano mancate violenze da parte dei sorveglianti del possedimento contro i contadini ed i pastori che pretendevano il rispetto dei propri diritti vitali e giuridicamente protetti (in teoria). Il prode Gasparazzu, in quei giorni di violenze e di saccheggi, pensò di strumentalizzare i descamisados di Bronte, accecati dalla rabbia per i torti subiti negli ultimi 60 anni. Il primo ed i secondi andavano, peraltro, per le spicciole. E non avevano ben compreso, a loro volta, che le violenze alle quali erano sostanzialmente autorizzati potevano essere operate contro tutti ma non contro gli Inglesi, le loro proprietà ed i loro servi. O contro coloro che già avevano abbracciato la causa garibaldina. E che la loro cosiddetta rivoluzione unitaria e filo-sabauda era stata voluta e pilotata dagli Inglesi, che dettavano ovviamente le loro regole anche a Garibaldi ed anche a Vittorio Emanuele. Si verificarono, pertanto, con l’abile regia di Gasparuzzu, i primi grandi disordini, che sfociarono ben presto nella orrenda strage di avversari e di cittadini benestanti di Cappedda (ai Borghesi, cioè). Gli amministratori della Ducea misero subito in allarme tutti i Consoli Britannici in Sicilia, gli agenti ed i consiglieri Inglesi e lo stesso Garibaldi. Chiesero interventi severi ed immediati. Ne sarebbe andata di mezzo la credibilità dell’Eroe dei Due Mondi. Ed ecco che Garibaldi manda su Bronte, con i pieni poteri, Nino Bixio con la sua colonna. Si pretende giustizia sommaria, esemplare, immediata”.

I capri espiatori fucilati a Bronte per fare capire al popolo siciliano che con l’avvento dei Savoia avevano solo cambiato padrone

“A Bronte, però – racconta sempre Scianò – non era rimasto nessuno dei masnadieri estranei alla città. Gasparazzu (con i suoi banditi e con notevole bottino), tagliando rapidamente la corda, aveva ripreso la via della macchia. I contadini ed i pastori più compromessi nella sommossa, fiutato il cambiamento di vento, si affrettarono a disperdersi per i boschi e le campagne. Bixio non ebbe difficoltà a mostrarsi feroce. Lanciò anatemi, bandi e minacce nel più puro stile di un Generale di un esercito di occupazione. Voleva i responsabili del massacro, ad ogni costo. Ne chiese conto all’Amministrazione Comunale che non contava più niente. Comminò, fra l’altro, una tassa di guerra per ogni ora passata invano. E minacciò ferro e fuoco. Bisognava salvare quantomeno la faccia. Si concordò allora, fra gli stessi Garibaldini e qualche collaborazionista, di fare cadere la maggiore responsabilità su un personaggio in vista per i propri sentimenti liberali e Sicilianisti, l’avvocato Nicolò Lombardo, colpevole di conoscere le leggi, i diritti ed i doveri di tutti anche in materia di usi civici e di avere difeso gli interessi della comunità. Con lui furono individuati altri quattro capri espiatori, compreso lo scemo del Paese. Altri cittadini, pastori e contadini, prevalentemente presi a caso, sarebbero stati arrestati e processati in un secondo tempo. In esecuzione della condanna a morte, emessa dopo un processo sommario, immediato e privo di un benché minimo elemento di legittimità, di serietà e di garanzia, celebrato dalle stesse autorità militari, il 10 Agosto 1860, nei pressi della Chiesa di San Vito, l’avvocato Lombardo ed i suoi quattro compagni di sventura furono fucilati. Mentre centinaia di persone venivano deportate nelle varie carceri della provincia. Si voleva fare veramente giustizia? Nemmeno per sogno. Si voleva piuttosto dare un messaggio ai banditi ed agli assassini fino a quel momento fatti passare per ribelli (di comodo). Nello stesso tempo si mandava una minaccia ai veri contestatori dell’occupazione della Sicilia che niente avevano a che fare con i primi, per dire che le cose erano ormai cambiate. Ed agli Inglesi si poteva così dimostrare che i rispettivi interessi sarebbero stati tutelati dai Garibaldini nel migliore dei modi”.

L’unità d’Italia in Sicilia: una restaurazione governata da massoneria e mafia per conto di inglesi e piemontesi

Se Salemi, con l’arrivo di Garibaldi, era stata la prima ‘Capitale’ non dell’Italia ma della mafia che, da esterna allo Stato nel Regno delle Due Sicilie, entrava direttamente nei ‘gangli’ del nascente Stato italiano (e lì è rimasta sempre come insegnano le stragi del 1992), Bronte, con la strage di innocenti perpetrata da Bixio per conto di Garibaldi e degli Inglesi, diventa l’esempio del vero significato del Risorgimento in Sicilia: nessuna ‘Rivoluzione’ per dare la terra ai contadini e per difendere i ceti poveri della società siciliana, ma una restaurazione governata da massoneria e mafia per conto degli Inglesi e dei piemontesi. Garibaldi era stato manovrato dal siciliano Francesco Crispi, massone, legato agli ambienti torbidi della Sicilia dell’epoca, destinato a inaugurare la lunga serie di politici siciliani ‘Ascari’, ovvero siciliani che svendono la Sicilia e i siciliani per farsi i fatti propri. Sarà Crispi, da capo del Governo italiano, a reprimere nel sangue, trent’anni dopo la ‘presunta’ unità d’Italia, la rivolta dei Fasci siciliani dei lavoratori. E sarà sempre Crispi il grande protettore della potente famiglia dei Florio in Sicilia, nonché l’eminenza grigia che porterà all’eliminazione di Emanuele Notarbartolo, Marchese di San Giovanni, anche lui garibaldino della prima ora ma non per questo disposto ad avallare gli imbrogli del Banco di Sicilia dell’epoca. Ma anche questa è un’altra storia.

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