Il fuoco che ha incenerito il ristorante ‘Al Porticello’ dello Stazzone a Sciacca e i ricordi di una vita vissuta in questa contrada di mare. Fatti, personaggi e cose di oltre cinquant’anni fa

Il tempo passa e quando si mescola con i fatti di cronaca può anche generare malinconia e tristezza

E’ con immensa tristezza che apprendo dell’incendio dello storico ristorante ‘Al Porticello’ di Sciacca. Chi scrive è originario di questa bellissima cittadina della provincia di Agrigento e proprio nella contrada dove si trova il ristorante, lo Stazzone (o ‘u Stazzuni, come ricemu a Sciacca), ho vissuto l’infanzia. Il ristorante ‘Al Porticello’ fa parte della mia vita di bambino e di ragazzo. E’ il locale che, tra i primi, a Sciacca, ha rivoluzionato la pizza. Scrivo rivoluzionato perché a Sciacca la pizza esisteva già prima dell’arrivo della pizza che conosciamo tutti. Si chiama Tabisca e a casa nostra si preparava in casa il Venerdì sera o il Sabato sera. Nella casa dello Stazzone dove abitavamo, a metà degli anni ’60, nella piccola cucina c’era il forno a legna e lì si preparavano, a fine settimana, prima la Tabisca e poi, quando il forno era ‘camiato’, il pane. (sopra, un’immagine dell’incendio del ristorante ‘Al Porticello: foto tratta da Corriere di Sciacca)

Gli indimenticabili fratelli Marino

Il ristorante-pizzeria ‘Al Porticello’ è sempre stato gestito dai fratelli Marino. Se non ricordo male erano tre fratelli e una sorella. Parliamo di quasi sessan’anni fa, due o tre anni prima del terremoto del 1968. Entrando allo Stazzone, superati i resti del Mulino Cuore, sulla sinistra, c’era il ristorante-pizzeria ‘Al Porticello’; proseguendo per una cinquantina di metri, sempre sulla sinistra, c’era un secondo ristorante-pizzeria ‘da Milanese’; proseguendo ancora, sempre sulla sinistra, c’era il terzo ristorante-pizzeria ‘da Giacomino’. Dopo il terzo locale la strada si interrompeva: o meglio, si interrompeva per le automobili che, per tornare indietro, dovevano effettuare una manovra a centottanta gradi. Non metto piede a Sciacca da circa quindici anni ma dovrebbe essere ancora così. Dopo la pizzeria ‘da Giacomino’, proseguendo a piedi si incontravano e forse ancora oggi si incontrano un paio di palazzi costruiti proprio sulla spiaggia. Allora la legge lo consentiva. L’inedificabilità entro i 200 metri dalla battigia, in Sicilia, arriverà con una legge regionale del 1976. Per la cronaca, a metà anni ’60 aprì anche un locale tra il ristorante-pizzeria ‘Milanese’ e ‘Giacomino’: se non ricordo male il nome era ‘Esperanto’ ma durò solo qualche anno. Nei primi anni ’70, dopo le citate palazzine costruite sulla sabbia, aprirà il primo locale di Sciacca realizzato quasi in riva al mare: Il Chiosco Azzurro. Durante il giorno, naturalmente in Estate, era un punto di appoggio per i bagnanti: metteva a disposizione ombrelloni e bibite; la sera diventava una pizzeria.

Le pizze preparate da uno dei fratelli Marino non erano pizze: erano poesie

Negli anni ’60 i ristoranti ‘da Milanese’ e ‘da Giacomino’ erano in buona parte realizzati con incannucciati; ‘Al Porticello’ forse era in parte realizzato con incannucciato, il resto era in legno. In ogni caso, è stato il ristorante-pizzeria che si è, come dire?, modernizzato pima degli altri. E che non ha mai chiuso i battenti. Ora mi smentiranno, ma io ricordo che ‘Al Porticello’ è cominciata la pizza a Sciacca. Ribadisco, c’era già la Tabisca, che è molto diversa dalla pizza. All’inizio le pizze erano solo di due tipi: Margherita e Napoli. A fine anni ’60 sarebbe arrivata la pizza con il prosciutto cotto e poi la Quattro gusti. Uno dei fratelli Marino era un bravissimo pizzaiolo. Le sue non erano pizze: erano poesie. L’impasto era insuperabile e la pizza era più grande rispetto alle pizze di Milanese e di Giacomino. La pizza ‘Al Porticello’ accompagnata da una birra ghiacchiata era la cena estiva impareggiabile per me e per il mio amato cugino Giovanni che purtroppo non c’è più. Allora il grano era siciliano, il pomodoro era siciliano e le acciughe salate della pizza Napoli erano di Sciacca. Un altro mondo. ‘Al Porticello’ era anche un ristorante, ovviamente di pesce. Il cuoco era un compagno d’infanzia di mio padre: erano molto amici e ogni volta che si incontravano si abbracciavano. Il pesce arrosto preparato da questo signore era perfetto. Il ristorante-pizzeria ‘Al Porticello, nelle sere d’Estate, era un luogo di ritrovo di ragazzi. Musica del jukebox a tutto spiano e, sulla strada, le prime vespe 50 e le ‘Acceleraecamina’, come si chiamavano a Sciacca il Ciao, la Garelli e le altre moto senza marce. Poi sarebbero arrivate le moto con le marce a pedale. (sopra, una moto Ciao, foto tratta da Wikipedia).

Quanto lo Stazzone a Sciacca era un mondo a sé

‘Al Porticello’ rievoca i ricordi della seconda metà degli anni ’60 primi anni ’70. Le immagini e le atmosfere di Sedotta e abbandonata, celebre film girato a Sciacca da Pietro Germi, non erano molto presenti allo Stazzone. Forse perché lo Stazzone, rispetto a Sciacca, è sempre stato un mondo a sé. Anche se con l’automobile per arrivare dal centro della cittadina allo Stazzone ci volevano, sì e no, cinque minuti, le famiglie di Sciacca che ai primi di Giugno si trasferivano nella casa dello Stazzone cambiavano vita: cambiavano le abitudini, cambiavano i vestiti, cambiava il cibo, insomma cambiava tutto. Chi, in Estate, da Sciacca si trasferiva nella casa allo Stazzone andava in un altro luogo, in un altra dimensione, in un altro mondo. Questa trasformazione si coglieva appieno nel dottore Alberti, che abitava con la sua famiglia proprio sotto la nostra casa. La mattina, quando si recava al lavoro in giacca e cravatta con la Fiat 124, aveva il volto compito e severo dell’alto funzionario; quando tornava, nel pomeriggio, e cambiava gli abiti, indossando pantaloni corti, camicia e l’inseparabile Muratti tra le dita era un’altra persona. Due parole anche sul citato Mulino Cuore. Era un rudere che oggi chiamerebbero esempio di archeologia industriale. Era un mulino che si era incendiato in un passato indefinito e indefinibile e che era rimasto così, sospeso nello spazio e nel tempo. In teoria era chiuso, perché pericolante. In realtà noi, sin da ragazzini, quando non eravamo a pescare tra gli scogli delle casciate, entravamo tra i ruderi del Mulino Cuore. Avevamo anche scovato una grande vasca con l’acqua dove qualcuno aveva messo alcuni pesci rossi. L’acqua non era sporca. Ci doveva essere qualcuno che ogni tanto metteva acqua fresca. Noi portavano le molliche di pane ai pesci. Ogni tanto, quando soffiava il vento, che a Sciacca non manca quasi mai, cadeva qualche pezzo di tetto bruciato. Era pericoloso avventurarsi tra i ruderi del Mulino Cuore? Forse sì. Ma questo lo rendeva affascinante e misterioso.

La spiaggia del Lido

Lo Stazzone era un luogo unico. Alla fine degli anni ’60, primi anni ’70 le contrade a mare, a Sciacca, erano sostanzialmente due: lo Stazzone e la Foggia. Capo San Marco sarebbe arrivato anni dopo. Tra lo Stazzone e la Foggia c’era il Lido, che in quegli anni era una delle spiagge di Sciacca più frequentate. Al Lido, sino alla fine degli anni ’60, c’era una pizzeria che, non ho mai capito il perché, piaceva a mio padre e a un suo grande amico: il giudice Nino Bongiorno. La pizzeria del Lido mi è rimasta in mente perché per la prima volta ho ascoltato dal jukebox una canzone di Mal dei Primitives che ancora oggi mi torna in mente ogni tanto. Iniziava così: “Questa sera voglio farti un regalo…”. Al Lido abitavano i fratelli Chillura, di cui dirò appresso e il dottore Gismondo e la sua famiglia. Ancora oggi tanto con Filippo Gismondo – figlio del dottore Gismondo e compagno d’infanzia – rievochiamo quegli anni. Il ristorante-pizzeria ‘Al Porticello mi fa venire in mente tanti personaggi. Indimenticabile il signor Salvatore Marinello, che tutti chiamavamo Turiddru. Quando hanno sistemato la palazzina dove abitavamo, il signor Marinello e la sua famiglia sono andati ad abitare in quella che era stata la nostra casa; noi siamo finiti di fronte, nello stesso pianerottolo. Il signor Marinello era un grandissimo pescatore di lenza e grande uomo di mare. Qualche volta, la mattina presto, ci portava a pescare gli sgombri con la sua barca a motore sotto la Coda della Volpe, nel mare di Cammordino. Ricordo anche il capitano Mommo Castagna: anche lui aveva una barca a motore e, nelle serate di luna, andava spesso a pescare occhiate. Ogni tanto, a Settembre, organizzava schiticchi. Da lui ho imparato a cucinare i ceci. Negli anni ’70 il signor Marinello aprirà un piccolo negozio di articoli di pesca, proprio di fronte ‘Al Porticello’, a una decina di metri dalla casa ru Zu ‘Gnaziu Pasturi, pescatore mitico dello Stazzone che merita un articolo a parte che scriverò appena avrò un po’ di tempo.

Le interminabili partite di calcio nella spiaggia dello Stazzone

La carrellata di personaggi dello Stazzone è lunghissima. Ricordo a fine anni ’60 quando costruirono due palazzine: la prima accanto a quella dove abitavamo noi, sulla sinistra, dove arrivò la famiglia dell’avvocato Lauro: con suo figlio Ignazio, una bella alla destra, siamo stati sempre amici. Sulla destra, a una cinquantina di metri costruirono un’altra palazzina dove abitava la famiglia dell’avvocato Veneroso con due bambini che poi, con gli anni, sono diventati amici di mio fratello e miei: Antonio e Alfonso Veneroso. Ricordo Pepè, al secolo Giuseppe Alberti, il figlio del dottore Alberti: con lui e con i nostri amici del Lido, i fratelli Chillura, non finivamo mai di giocare a calcio nella spiaggia dello Stazzone: mio cugino Giovanni invalicabile terzino, Giuseppe Chillura difensore roccioso, Mario Chillura il portiere para-tutto, la classe infinita di Pietro Chillura che ‘parlava’ con il pallone, i passaggi smarcanti di Pepe, i dribbling sguscianti di Massimo Corleo, gli scatti brucianti di Ignazio Lauro e qualcosa ogni tanto la facevo pure io. Si cominciava a giocare alle sei e mezza del pomeriggio o giù di lì e si finiva con un tuffo in mare quando il sole era tramontato. Ma i pezzi forti dello Stazzone erano i pescatori. Il capitano Carruba, che abitava all’inizio della contrada, andava a pescare con la sua barca con motore entrobordo con le reti e con la sua inseparabile pipa. Come dimenticare ‘i Mezzi’? Erano due fratelli di media statura, che abitavano allo Stazzone con i genitori; avevano una barca a motore e andavano sia con le reti, sia con i palangari. Indimenticabile il papà dei ‘Mezzi’ quando arrivava la nebbia di prima mattina e i figli non erano ancora rientrati dalla pesca. Se i ‘Mezzi ‘ erano andati a levante, rispetto allo Stazzone, si metteva con un tamburo alla ‘casciata chiatta’ e tamburellava gridando: “Allo Stazzuni semu!”. Se i figli erano andati a pescare a ponente, verso Capo San Marco, si spostava davanti lo scoglio del ‘Coccodrillo’ tamburellando e gridando sempre: “Allu Stazzuni semi” e non smetteva fino a quando non compariva la banca dei due figli.

I ricci dello Stazzone

Tante, tantissime le cose da raccontare della vita della Stazzone. I racconti del nonno paterno che era stato direttore dell’ufficio delle imposte a Sciacca dai primi anni ’20 fino ai primi anni ’50 del secolo passato. Mitici gli schiticchi che si organizzavano allo Stazzone nel locale del suo grande amico don Natale. Da ricordare anche la secca che si distende proprio di fronte il ristorante di Milanese, che poi sarebbe stato gestito da altri: l’indimenticabile Mastro Peppino, Michele Marciante, la famiglia Vaiana. Allo Stazzone questa secca veniva chiamata ‘u siccu: non so se oggi è ancora così. Dopo gli scogli ru siccu, a due metri di acqua, si andava a pescare ricci. Il più bravo di tutti era Niki Bongiorno che ad ogni ‘assummata’ (quando da sott’acqua si ritorna in superficie) aveva tra le mani non meno di cinque-sei ricci. Allo Stazzone c’erano tante piccole barche da pesca ma non c’era un porticciuolo. Così ogni volta che arrivava una forte sciroccata con il mare in tempesta le barche venivano trasferite di peso sulla spiaggia, per poi essere rimesse in acqua quando sua maetà il mare smetteva di fare le bizze. Lo Stazzone era ‘vivo’ dai primi di Giugno, quando chiudevano le scuole, fino ai primi di Ottobre, quando riaprivano le scuole. Da metà Ottobre fino ai primi di Maggio si svuotava. Nelle sere e nelle notti d’Inverno e di inizio Primavera era spettrale. Ma aveva un suo fascino. Lo posso affermare perché dopo il terremoto del ’68 ci siamo trasferiti allo Stazzone tutto l’anno. Un periodo indimenticabile.

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