Le guarigioni di una bambina e di una donna ad opera di Gesù. Il numero dodici come le dodici tribù di Israele

di Frate Domenico Spatola

Commento al Vangelo di Matteo 9,18-26

Scabro in Matteo il racconto della fanciulla morta e della emorroissa. Marco ridonda di dettagli, che sono indizi prodigiosi per la fede. Da lui sappiamo il nome del capo della sinagoga, Giairo, venuto a chiedere l’intervento per la figlia morente, per Matteo essa era già morta. La imposizione della mano, per darle vigore, li accomuna. Il dramma lungo il tragitto, della donna, con gravi perdite di sangue da dodici anni, che si avvicinò alle spalle per toccare il lembo del suo mantello, in Marco è più drammatizzato. Sappiamo da lui sui medici dispendiosi e le medicine costose incapaci di guarirla. Essa conosce la sua “impurità” e le pene per chi trasgredisce la legge che le vietava di avvicinarsi alla gente che avrebbe resa ritualmente “impura”. Lo fa di soppiatto, sperando che, immersa nella folla, nessuno se ne accorgesse. Toccò, alle spalle di Gesù, un lembo del suo mantello, ma fu fatta venire allo scoperto dal Signore che denunciò ad alta voce che qualcuna l’aveva toccato, per ribadire poi a lei: “La tua fede ti ha salvato!”. Nella casa del capo trovò prefiche e flautisti, in piagnistei di morte, Gesù li volle espulsi, perché la fanciulla, di dodici anni, non era morta, ma dormiva. Interpretava in modo nuovo la stessa morte, nella derisione generale. Allontanati tutti, entrò in casa. Nella camera ancora “ardente”, alla presenza dei genitori, impalmò la mano della fanciulla, e questa si alzò. Il numero dodici, come il titolo di “figlia” accumunava le due donne a Israele con le dodici tribù. E Gesù si manifestò così “lo sposo di Israele”. Equivaleva a dichiararsi suo Messia.

Foto tratta da La Luce di Maria

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