La strage di Randazzo del 17 Giugno 1945 con l’uccisione del comandante dell’Evis Antonio Canepa. Il ruolo di SIM, CIA, infiltrati e giovani di sinistra (esecutori materiali inconsapevoli)

La ricostruzione dell’eccidio con le tesi di Vito Vinci. Tutto parte dalla Conferenza di Yalta nel Febbraio del 1945

di Renato Sgroi

Tanto Totò Gliozzo quanto Sandro Attanasio quanto Vito Vinci fanno risalire alla data della “Conferenza di Yalta” (dal 4 all’11 Febbraio 1945) la ragione della “svolta nella realtà dell’Evis”: una svolta tragica per la Sicilia e per il Popolo Siciliano. Fu in quella Conferenza internazionale che venne trattato, tra gli altri, anche il programmato tema della spartizione (definita eufemisticamente “riordino”) dei Paesi occupati tra i vincitori (gli “alleati”: Inglesi, Russi e Americani). Il giorno della chiusura di quella conferenza, l’11 Febbraio 1945, alcune zone dell’Italia meridionale, la Sicilia e la Sardegna tornarono sotto la giurisdizione italiana. Ed è a quella data che – con la riconsegna della Sicilia all’Italia – si manifestò ufficialmente la volontà degli Americani di non mantenere l’impegno assunto circa l’indipendenza della Sicilia… ammesso che quell’impegno gli Americani l’avessero realmente assunto! Ed è lì che si delinearono il fallimento del MIS, lo strano cambiamento del tono dei discorsi di Andrea Finocchiaro Aprile e l’evidente inasprimento della lotta contro il separatismo siciliano con l’importante ingerenza occulta dei servizi segreti (SIM e CIA) nella gestione del “caso Sicilia” e con la materiale eliminazione dell’EVIS, quello che, nei piani degli indipendentisti, avrebbe dovuto costituire il vero braccio armato dell’indipendentismo siciliano. (sopra, foto di Antonio Canepa tratta da La Nazione Siciliana)

Con la strage di Randazzo si dà il via alla liquidazione del Separatismo siciliano

Orbene, “la prima fase dell’operazione anti-separatismo fu, appunto, la strage di Randazzo, avvenuta il 17 Giugno 1945”, cui fecero seguito, da lì a poco, l’arresto di Attilio Castrogiovanni nel Settembre dello stesso anno e subito dopo, nell’Ottobre, l’arresto di Finocchiaro Aprile, di Antonino Varvaro e di Francesco Restuccia. La fine dell’Evis, l’Esercito dei volontari per l’indipendenza siciliana, quindi, precedette di poco quella del MIS. Le ragioni determinanti della scomparsa di entrambi furono per Vito Vinci, essenzialmente, due:
1°) la Sicilia, vista la sua posizione nel Mediterraneo, era ormai divenuta un obiettivo fondamentale per le esigenze strategiche degli USA e, quindi, una sua indipendenza (promessa, prima della fatidica “operazione Husky” e del conseguente sbarco in Sicilia, ai Separatisti Siciliani) non poteva più essere tenuta nella dovuta considerazione; essa doveva rimanere legata all’Italia, la quale l’avrebbe poi tenuta a disposizione dell’uso statunitense pur continuando a trarne notevoli benefici economici;
2°) la massa popolare che aveva dato l’impressione di volere convergere nel MIS, una volta creati i vari partiti italiani, aveva messo da canto gli ideali legati al sogno dell’indipendenza e si andava disperdendo nei programmi politici di destra e di sinistra, che sciorinavano valanghe di promesse delineando quel fenomeno deprecabile che avrebbe, nel tempo, assunto il volto del più bieco opportunismo (fino a degenerare nel mai sufficientemente disprezzato “voto di scambio”). Lo stesso Finocchiaro Aprile, comprendendo bene che i siciliani separatisti di prima si stavano disperdendo via via per ragioni di calcoli economici, pensò bene di sfruttare l’opportunità per trasferire la lotta sul piano decisamente “unitaristico” contrabbandandolo per “autonomismo”, ma – tutto sommato – finendo per fare il gioco dei partiti italiani ed inaugurando quel “trasformismo” che ha poi portato alla degenerazione della politica, “causa di stragi, di delitti, di misteri dei servizi segreti che non sono più molto segreti” (così si espresse, testualmente, Vito Vinci nel suo libro “L’occupazione della Sicilia”, risalente al 1993). (Sopra, la bandiera dell’Evis, foto tratta da Wikipedia)

Gli infiltrati

Ben presto, peraltro, si diffuse il fenomeno degli infiltrati e dei traditori ed è proprio a questo fenomeno che si riferisce Gliozzo allorchè parla, nel suo libro, di “giovani universitari di Catania che avrebbero tradito Antonio Canepa …”. Veniamo ora all’eccidio di Randazzo, in contrada “Murazzu Ruttu”, la fatidica Domenica 17 giugno 1945. Vito Vinci, nel suo libro, precisa che – per ricostruire la dinamica di quell’eccidio – si è avvalso delle testimonianze “dal vivo” di due protagonisti che vissero, l’uno personalmente e l’altro indirettamente, la vicenda: il primo era Armando Romano, uno dei cinque “evisti” occupanti il cassone del motocarro “Guzzi 500” pilotato da Pippo Amato, e l’altro era un allora giovane comunista di Randazzo (di cui Vinci, per correttezza, non fa il nome) il quale riferisce le vicende accadute, in quei giorni, in quella cittadina etnea. Vinci, a questo punto, dopo avere puntualmente riportato la narrazione fornitagli da Armando Romano e dopo averla messa a confronto con le versioni fornite da Pippo Amato a Salvatore Nicolosi ed a Salvo Barbagallo (versioni in alcune parti contrastanti tra loro), individua alcuni punti fermi e – partendo da quei “punti fermi” – opera quindi una propria ricostruzione dei fatti per poi giungere ad una propria personale conclusione.

I punti fermi della ricostruzione di Vito Vinci

Ecco, qui di seguito, i punti fermi da cui muove il Vinci per giungere alla propria conclusione.
A) L’istituzione del posto di blocco al bivio di “Murazzo Rotto” fu “pretesa” (dopo averne strategicamente studiato la scelta del luogo) dai comunisti randazzesi; così scrive, al riguardo, Vito Vinci: “Dalla narrazione del nostro referente apprendiamo che egli stesso, in compagnia di due suoi ‘compagni’, si recarono alla tenenza dei carabinieri per ‘pretendere’ che, per il giorno dopo, fosse istituito un posto di blocco al bivio di Murazzo Rotto, dove confluiscono la strada proveniente da Cesarò e quella che arriva da Catania, via Adrano – Bronte”. E ancora: “ … “il nostro comunista precisa che il comandante della tenenza… inizialmente tentennò alla richiesta dei ‘comunisti’ di istituire il posto di blocco… I carabinieri di Randazzo, quindi, inizialmente non ritennero utile il posto di blocco. I comunisti, invece, lo imposero minacciando ritorsioni … Così, alla fine, fu disposta la pattuglia per il mattino successivo. Ma quasi senza convinzione; per disfarsi della visita disagevole degli ‘unitari comunisti’ …”.
B) La resistenza iniziale della tenenza – a dire del referente comunista – indusse i comunisti che avevano preteso l’istituzione del posto di blocco a dubitare che i carabinieri avrebbero adempiuto e, perciò decisero di “controllare dalla scarpata, alle spalle dei carabinieri …” l’operato di questi ultimi; perciò essi si recarono sul posto “armati e decisi a sparare anche sui militari ove non avessero adempiuto alle loro funzioni …”.
C) La pattuglia dei carabinieri si recò sul posto di buon mattino (il 17 Giugno 1945), composta dal Maresciallo Salvatore Rizzotto, dal Vice brigadiere (o Appuntato) Rosario Cicciò e dal carabiniere Carmelo Calabrese.
D) Il motocarro “Guzzi 500” partì di buon’ora da Sambuchello alla volta di Randazzo con Pippo Amato alla guida e con i cinque evisti (Canepa, Rosano, Lo Giudice, Romano e Velis) sul cassone. “In partenza Canepa avvertì Amato di fermarsi, in caso di blocco, perché disponeva di ’salvacondotto’ ….. Canepa aveva comunicato la destinazione solo ad Amato che stava alla guida …”. Scrive Vinci: “Amato quindi conosceva la destinazione e l’itinerario”. Armando Romano dichiara a Vito Vinci: “… eravamo muniti di armi automatiche, mitragliatori e Canepa aveva bombe a mano nei pantaloni … Qualche chilometro prima di ‘Murazzo Rotto’ Amato fermò il mezzo per sgranchirci, ma – ripartendo – Velis andò ad occupare il posto libero nella cabina di guida”.
E) Dichiara a Vito Vinci il referente senza nome che i comunisti, intanto, controllavano i luoghi e i movimenti dei militi; “… alla vista del motocarro il brigadiere pose l’alt al veicolo. Aveva il fucile sottobraccio …”. Romano conferma a Vinci: “Al bivio i militari ci posero l’alt. Amato non fermò subito il motocarro – come Canepa aveva suggerito – in modo da trovarsi i carabinieri davanti, ma proseguì per alcuni metri sicché i militari vennero a trovarsi in posizione retrostante rispetto al veicolo che tentarono di raggiungere coprendo a piedi i pochi metri di distacco. Poi, improvvisamente, Amato riprese la marcia, inducendo Canepa a ‘picchettare’ sulla sua spalla per ricordargli l’ordine di fermarsi ‘perché coperti da salvacondotto …”. I carabinieri, giustamente, ebbero il sospetto che i fermati volessero fuggire e il carabiniere Calabrese “sparò un colpo in aria per intimidazione”.
F) Il referente senza nome di Vinci, a quel tempo giovane comunista di Randazzo, ammette – sia pure con qualche riserva dato il tempo trascorso – che a sparare il primo colpo, oltre quello intimidatorio del carabiniere Calabrese, fu il suo amico allorché i militari avanzarono dietro il motocarro che aveva dato l’impressione di volersi defilare”. D’altra parte, scrive Vinci, “se il primo colpo, quello di Calabrese, sparato in aria, fosse stato l’unico, quello che attinse Canepa e le bombe a mano … da dove proveniva? … dobbiamo ammettere che ci sono stati altri spari che non potevano provenire dai carabinieri, rimasti illesi perché era mancata la risposta. Uno dei militari, scorgendo Romano a terra, inerme e terrorizzato perché già colpito all’anca, in un raptus d’ira gli sparò un ulteriore colpo che fortunatamente lo attinse alla stessa gamba ferita.”
G) Amato e Velis, in tempi diversi, si dileguarono abbandonando il mezzo e gli amici alla buona sorte e, … “indenni, guadagnarono la montagna. La notizia frattanto si diffuse e arrivò da Randazzo un’automobile con il segretario della locale sede del MIS, Gino Paparo, il quale caricò i feriti e ripartì verso l’ospedale.” Armando Romano: “All’ospedale di Randazzo arrivarono ancora in vita tranne Giuseppe Lo Giudice morto durante il tragitto. … Poi fummo trasferiti in corsia in attesa di interventi e cure. Rosano, ancora vivo, era più distante; io e Canepa su due barelle affiancate. Canepa, con voce fievole, mi chiamò per dirmi: ‘NANDO, STAVOLTA CE L’HANNO FATTA … stavolta hanno vinto!!’ … Fui l’ultima persona a sentire Canepa parlare, perché poco dopo spirò. … Nello stesso pomeriggio morì Rosano”.

Il tradimento

Sulla scorta dei suddetti “punti fermi” e di alcuni vani tentativi di ricostruire le varie fasi dell’ormai noto, ma inspiegato, eccidio (ricostruzione resa impossibile dalle versioni contrastanti fornite nel tempo da Amato e dai Carabinieri), Vito Vinci – nel suo libro – giunge comunque ad una propria conclusione pur precisando prudentemente, peraltro, che si tratta, naturalmente, solo di una “tesi”. Provo a sintetizzarla.
La conclusione cui perviene Vito Vinci nel 1993 ci mostra TRE CARABINIERI E SEI EVISTI: di essi rimangono indenni solo i tre carabinieri e due evisti. Per Vito Vinci, “… quei cinque furono … scansati come obiettivo” e “la strage di Randazzo fu la conclusione di un tradimento. Lo dice anche l’ultima espressione di Canepa: CE L’HANNO FATTA. HANNO VINTO. Ma chi avrebbe tradito? Chi fu ad avercela fatta? Chi furono gli ipotetici vincitori?”.

Gli autori della strage di Randazzo in contrada Murazzu Ruttu

Di fronte ad una strage come quella di Randazzo – secondo Vinci – è doveroso almeno intuirne gli autori, i veri autori: tanto gli esecutori quanto i mandanti. Chi ricevette l’incarico di decapitare l’Evis e il MIS? I comunisti di Randazzo potrebbero essere stati lo “strumento”, certamente cieco, di forze occulte superiori che se ne sarebbero serviti approfittando della loro giovanile sprovvedutezza e della loro emotività idealistica. Ma chi furono i loro mandanti? La tesi di Vito Vinci, come quella di Totò Gliozzo riconduce alla politica internazionale dell’epoca, agli interessi che ne promanavano ed ai servizi segreti che li tutelavano: per Vito Vinci, il SIM e soprattutto la CIA (atteso che “la Sicilia … sotto il profilo militare appartiene agli USA che l’hanno trasformata in una piattaforma missilistica” così scriveva Vinci già nel 1993). Ed ecco LA CONCLUSIONE FINALE DEL COMPIANTO VITO VINCI: GLI AUTORI DELLA STRAGE DI RANDAZZO FURONO TRE: 1°) I MANDANTI INTERNAZIONALI; 2°) GLI INFILTRATI CHE TRADIRONO IL COMANDANTE CANEPA (ED I SUOI FEDELISSIMI); 3°) GLI ESECUTORI MATERIALI, idealisti inconsapevoli strumentalizzati dai vari mandanti (cioè, in buona sostanza, quei “ragazzi di sinistra” cui si riferisce Totò Gliozzo quando parla genericamente di “universitari catanesi” che, spinti da esigenze idealistiche, si lasciano strumentalizzare senza rendersene conto). Sopra foto tratta da Fronte Nazionale Siciliano

La strage di Randazzo apre la strada alla lunga scia di delitti avvolti nel mistero, impuniti e, talvolta, addirittura premiati

Ritengo utile a questo proposito, per meglio chiarire il pensiero di Vinci, riportarne qui testualmente una interessante riflessione (tratta, ovviamente, dal suo libro “L’Occupazione della Sicilia”): “MA PERCHE’ I RAGAZZI DI SINISTRA? Intanto perché tra Canepa e il partito comunista i rapporti si erano decisamente guastati; poi perché la sinistra, nel dopoguerra, era meno articolata di quella odierna, e questo creava un’altra utile confusione. Poi ancora perché – si disse – Canepa non riconosceva l’egemonia di alcuni padrini politicizzati. Nei rapporti con lo stesso Finocchiaro Aprile (anch’egli ideologicamente schierato a sinistra) Canepa divergeva in molte circostanze; né sembrò volersi ingraziare le attenzioni delle famiglie politiche siciliane emergenti: Bernardo Mattarella, Alessi, Restivo, Scelba, Aldisio, eccetera. E’ CHIARO CHE SI VOLLE, DA PIU’ PARTI, LA STRAGE DI TIPO PLATEALE, CHE AVESSE EFFETTO DI ‘MONITO’ SPETTACOLARE SUI ‘RESTI’ DELL’INDIPENDENTISMO SICILIANO. Ma le ‘più parti’ risultavano sempre – anche se involontariamente – pilotate da POTERI OCCULTI”. La strage di Randazzo, in qualsiasi modo sia stata realizzata, conseguì comunque lo scopo di eliminare il braccio armato dell’indipendentismo siciliano, così come – negli anni che seguirono – venne eliminato il braccio politico. Si trattò pur sempre di fenomeni di Stato e di tradimenti: quella strage, infatti, diede il via alla lunga serie di delitti destinati a rimanere avvolti nel mistero, impuniti e, talvolta, addirittura premiati.

Lascia una risposta

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *