La “Sagrada Familia” di Antòn Gaudi: come Michelangelo ha interrogato la pietra per ottenerne e interpretarne risposte obbligando lo spirito che anima le cose a manifestarsi a noi

Qualche ‘pennellata’ sul grande architetto spagnolo e sulla sua opera più nota

di Frate Domenico Spatola

Orgoglio di Catalogna, Barcellona vanta dal XIX secolo architetti che nello stile “liberty” le hanno dato la forma. A renderla tuttavia inconfondibile per unicità nel mondo fu soprattutto Antòn Gaudi, il geniale architetto, originale e genuino, che le affidò nella sua arte la propria anima. Passione la sua da far parlare le pietre, e da confidenti chiese di dire il meglio di sé, a beneficio del passante, coinvolto in liturgia del bello, da lui intuito. Seduce la sua arte, nel capolavoro, monumento alla “Sacra Famiglia”, per la cui realizzazione impegnò oltre che i beni materiali, tutti fino ad appezzentirsi, soprattutto quelli del cuore in magia da far parlare le pietre, testimoni del passato suo di fede, e del futuro intravvisto per la eredità di sua arte unica e riconoscibile. Capolavoro, incompiuto, ancora a cent’anni dalla sua morte (1926), è meta incessante per turisti d’ogni dove.

Le prenotazioni ormai “online” e da fare anzitempo, sono condizione senza alibi per entrarvi, né trovammo scappatoie e, per la terza volta, mi fu inibito l’ingresso. Per lo spettacolo tuttavia supplisce l’esterno. Colonne slanciate al cielo, come missili, a imitazione delle cattedrali gotiche, e più spinte in rivisitato barocco di Spagna, per cui non è più né l’uno, né l’altro. Inedito dunque tutto suo, in visione onirica e raccontato come favole con pietrificate fate e gnomi. Il periodare della narrazione si fa lento per l’osservazione a meditare e le cose figurate come giocattoli in vetrina per bambini in prolungata fanciullezza mai abbandonata da uomo maturo. È la poetica, universalmente a lui riconosciuta. Nello spettatore, l’estasi continua non si esaurisce, e costringe a speculari sguardi di recupero d’infanzia. Ogni dettaglio è curato, e lo spazio colmato con inimmaginabili sorprese. Vuoi anche senza apparente logica razionale. Ma è l’universo che vuole rappresentare, e l’Eden dei progenitori. Filo rosso da inseguire la sua fede nel Vangelo, e lasciarsi attrarre come da “flautista magico”. Immensi i volumi eppur leggeri per le ritmiche movenze e le costanti sorprese in sequenza. Col naso in sú si scoprono verosimiglianti draghi, serpenti, lucertole, chiocciole, come da foresta rigogliosa di simboli da decifrare. Determinanti sono angeli e uomini a interpretare la Nascita e la Passione del Signore, perché tutto si svolga a catechesi permanente da “Biblia pauperum”. Il genio si propose consapevole “catechista” per raccontare al passante la sua fede. Allo scopo ha ricreato la materia e, come Michelangelo, ha interrogato la pietra per ottenerne e interpretarne risposte. Ha obbligato lo spirito che animavan le cose a manifestarsi a noi. Il suo racconto ci arriva da altre dimensioni e, per meritarlo, ci occorre farsi piccoli per apprendere il suo linguaggio finalizzato a educare più che stupire.

Foto tratte da Wikipedia

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