La polemica tra i parlamentari Auteri e La Vardera sui contributi: l’ufficio di presidenza dell’Ars accerti se tali fondi sono stati erogati prima o dopo l’elezione dello stesso Auteri

Se questi fondi sono stati erogati dopo l’elezione all’Assemblea regionale siciliana del parlamentare di Fratelli d’Italia, ebbene, si porrebbe quanto meno un problema di opportunità politica. Se tali fondi sono stati erogati prima dell’elezione di Auteri a Sala d’Ercole, le polemiche sono pretestuose

Non seguiamo più da tempo le cronache dell’Assemblea regionale siciliana (Ars). Ogni tanto commentiamo i dati del Bilancio regionale e qualche notizia sulla siccità o sulle alluvioni. Oggi invece facciamo un’eccezione per commentare una storia un po’ strana: la polemica tra due parlamentari di Sala d’Ercole, Carlo Auteri e Ismaele La Vardera. Il primo è il vice capogruppo di Fratelli d’Italia all’Ars; il secondo non sappiamo dove militi, dal momento che ha lasciato il gruppo parlamentare di Cateno De Luca. In genere, i parlamentari che lasciano il proprio gruppo finiscono nel gruppo misto. E lì dovrebbe essere finito La Vardera. La polemica rigarda fondi pubblici che sarebbero finiti non abbiamo capito se a società o ad associazioni che operano nel settore culturale riconducibili al parlamentare Auteri e a qualche suo familiare. In un articolo pubblicato da Il Fatto Quotidiano leggiamo che si tratta di 750 mila euro. (Sopra, foto dei parlamentari Auteri e La Vardera tratta da Palermo Today)

Ovviamente noi diamo per scontato che si tratti di erogazioni legittime

In effetti, se il parlamentare di Fratelli d’Italia, o meglio, se associazioni o società riconducibili a lui o ai suoi familiari hanno ricevuto 750 mila euro di contributi regionali dopo l’elezione dello stesso Auteri al Parlamernto siciliano, beh, la cosa non sarebbe proprio bella: anzi, sarebbe pessima, riconducibile, per tipologia auto-clientelare, per citare un esempio, a qualche alto governante siciliano di qualche anno fa, là dove si scopriva che fondi pubblici agricoli finivano a un suo familiare. Insomma, per dirla in breve, se questi 750 mila euro, o una parte di questi fondi regionali, sono finiti nelle ‘casse’ di società o associazioni riconducibili al deputato di Fratelli d’Italia, o riconducibili a qualche suo familiare dopo la sua elezione all’Ars si porrebbe, quanto meno, un problema di opportunità politica. Ma se questi 750 mila euro sono stati erogati ad associazioni o a società riconducibili al parlamentare Auteri o a qualche suo familiare prima dell’elezione dello stesso Auteri all’Assemblea regionale siciliana, ebbene, la polemica non ha motivo di esistere: si tratterebbe, infatti, di una speculazione mediatica e politica: in pratica, una bolla di sapone. Questo aspetto, che è centrale in tale vicenda, dovrebbe essere chiarito in tempi brevi dall’ufficio di presidenza del Parlamento siciliano con una comunicazione nel corso di una seduta dell’Ars. Poiché in questi casi a parlare sono le ‘carte’, va chiarita in tempi brevissimi la tempistica di queste erogazioni. Ovviamente, diamo per scontato che questi contributi siano legittimi. Se fossero illegittimi cambierebbe tutto.

Minacce verbali e parolacce tra i deputati, anche se sgradevoli, sono una costante nella ‘dialettica parlamentare’ e non c’è bisogno di rivolgersi alla Giustizia

C’è poi un secondo aspetto, che a noi in queste ore sembra molto enfatizzato: le parole non esattamente lusinghiere che Auteri avrebbe rivolto a La Vardera. A nostra memoria le parole grosse, tra i parlamentari di Sala d’Ercole, ci sono sempre state. E un po’ di memoria sulle cronache dell’Assemblea regionale siciliana chi scrive può vantarla, per averla vissuta di presenza, o per testimonianze orali. Ma non per questo si è fatto ricorso alla Giustizia. Una tempesta di parolacce, mettiamola così, colpì tanti anni fa un presidente dell’Ars. Si era alle ultime battute della legislatura. L’Aula avrebbe dovuto approvare una legge omnibus prima di andare al voto per il rinnovo dell’Assemblea regionale siciliana. Allora i deputati dell’Ars erano 90 e ogni deputato voleva approvata una ‘cusuzza’ per ‘condire’, mettiamola così, la propria campagna elettorale. Ovviamente i soldi per accontentare tutti i deputati non bastavano. In Aula i bisticci andavano avanti da dieci giorni e forse più. Era un Giovedì, così ci hanno raccontato. Il presidente, a sera, chiamò i capigruppo e gli disse: “Non possiamo andare avanti così. I giornali (che allora erano solo cartacei) ci stanno ridicolizzando. Mettetevi d’accordo e approvate la legge domani, o chiudo la seduta e la legislatura e andiamo tutti a casa senza legge approvata”.

Quando un presidente dell’Ars chiuse l’ultima seduta prima del sì dell’Aula alla spartizione di fondi elettorali…

I deputati, di maggioranza e di opposizione, intenti a litigare sulla spartizione dei fondi della legge omnibus, non presero sul serio l’avvertimento del presidente dell’Ars. Sbagliarono, perché l’indomani, dopo una lunga giornata di liti furibonde dentro e fuori l’Aula, il presidente bloccò i lavori parlamentari per una ‘comunicazione’. Disse: “Constato che dopo oltre due settimane di dibattito appassionato non c’è intesa tra le forze politiche su questo provvedimento. Dichiaro chiusa la seduta. La questione verrà affrontata nella prossima legislatura”. Successe il finimondo. Il presidente dell’Ars, deciso a difendere la propria decisione, cercava di guadagnare l’uscita da Sala d’Ercole protetto dai dirigenti e, in generale, dal personale del Parlamento. I deputati, inviperiti, cercavano di acchiappare il presidente per riportarlo sul più alto scranno dell’Ars. Allora non c’erano telecamere e i giornalisti assistevano alle sedute d’Aula dalla ‘piccionaia’. Volarono insulti terribili. Proprio quando il presidente stava per raggiungere l’uscita da Sala d’Ercole, due deputati, con la forza della disperazione, riuscirono ad acciuffare la giacca del presidente. Urla, improperi d’ogni sorta. Caos totale. Alla fine il Segetario generale dell’epoca trovò un punto di mediazione: eccezionalmente l’Aula venne riconvocata con l’impegno, da parte dei capigruppo, ad approvare la legge omnibus in tempi brevissimi. E così fu. Nessuno, men che meno il presidente dell’Ars dell’epoca, prese in considerazione l’ipotesi di rivolgersi alla Giustizia per le pesanti offese verbali ricevute. E’ sconveniente, certo, ma talvolta le parolacce e le minacce verbali rientrano, come dire?, nella ‘dialettica parlamentare’. Senza bisogno di scomodare la Giustizia.

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