La parabola del buon samaritano serve a Gesù per illustrare che cosa significa aiutare il prossimo

di Frate Domenico Spatola

Può anche succedere che chi è privo dei vincoli imposti dalla religione si comporti meglio di chi abbandona chi soffre per rispettare le ‘forme’

“Chi è il mio prossimo?” chiese a Gesù il dottore della Legge. Legittima domanda, se per l’ebreo il “prossimo” era solo quello della propria tribù. La parabola del “buon samaritano”, suggerirà all’interlocutore a farsi lui stesso “prossimo” per il malcapitato. Nessuno dei passanti, né il sacerdote, né il levita che scendevano da Gerusalemme a Gerico si fermarono a soccorrerlo. Derubato, era stato abbandonato dai malavitosi a terra in fin di vita. I due erano inibiti dalla Legge, per non compromettersi col sangue del ferito. Non avrebbero potuto più officiare nel tempio. Invece il samaritano, anche egli di passaggio e privo dei vincoli della religione, ne ebbe compassione e lo caricò sulla sua cavalcatura per l’albergo, dopo avergli disinfettate le ferite con l’olio e il vino. All’albergatore passò due monete con la promessa di dargli il resto al ritorno. Questa volta fu Gesù a domandare: “Chi è stato prossimo per il malcapitato?”. La risposta fu conseguente.

Foto tratta da La Luce di Maria

Lascia una risposta

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *