“La cucina italiana non esiste”. E’ il titolo di un libro del quale scrive Vanity Faire. Ci vogliono togliere anche l’identità a tavola? Il commento di Diego Fusaro (VIDEO)

Certo che ormai se ne sentono e se ne leggono di stranezze

I nostri nonni? Non sapevano cucinare. Sì, tra i fornelli non brillavano. E allora come ha fatto la cucina italiana della tradizione a diventare famosa in tutto il mondo? Lo raccontano gli autori del volume La cucina italiana non esiste intervistati da Vanity Faire (qui l’intervista). “Gloriosa, sana, eccellente, genuina come la cucina italiana non c’è niente, secondo gli italiani, ma non è così: la cucina italiana non esiste. O meglio, non è sempre esistita come la conosciamo oggi: l’eccellenza di oggi è prodotto di una storia recentissima, dal secondo Dopoguerra in qua”. Così la racconta uno dei due autori del libro, Alberto Grandi, professore di Storia del cibo e presidente del corso di laurea in Economia e Management all’Università di Parma. L’altro autore è Daniele Soffiati: “Fino a un recente passato – dice Soffiati – gran parte degli italiani moriva di fame, erano le élite che si dilettavano con cuochi e buon cibo. Inoltre, molti piatti simbolo della «tradizionale» cucina italiana, dalla pizza alla pasta, non sarebbero stati possibili senza il fondamentale contributo dei migranti italiani, che tornarono da terre lontanissime con qualche soldo in tasca e prodotti alimentari praticamente sconosciuti fino al 1900”.

Gli autori di questo libro conoscono la tradizione siciliana in cucina?

Se siete appassionati di cucina vi consigliamo di leggere l’articolo, anche se non condividete le tesi espresse dagli autori: anche per conoscere questa tesi bizzarra. E vi consigliamo anche di ascoltare il commento del filosofo Diego Fusaro che, con la sua consueta chiarezza, illustra da dove nasce quello che, di fatto, è un attacco all’identità italiana a tavola (qui il video di Diego Fusaro). Noi, da meridionali, ci chiediamo se gli autori di questo libro hanno approfondito la conoscenza dei Monzù napoletani e dei Monsù siciliani, celebri cuochi che operavano in Campania e in Sicilia a partire dal 1700. Alcuni piatti preparati da questi raffinati cuochi sono arrivati fino a noi. Anche questi non fanno parte della tradizione? Visto che siamo siciliani chiediamo ai due autori: e i piatti che preparavano gli arabi quando oltre mille anni fa si sono stabiliti nella nostra Isola, che in alcuni casi sono arrivati fino a noi? pensiamo ai dolci, dalla cassata ai cannoli, dalla pasta reale alla cannella. E la frutta candita. E del cous cous di pesce alla trapanese ne vogliamo parlare? E la caponata, con il suo agro-dolce, non è di derivazione araba? E le arancine, come si chiamano a Palermo, o gli arancini, come li chiamano a Catania, non sono forse un regalo degli arabi? Non dobbiamo dimenticare che il riso è stato coltivato in Sicilia fino al 1860: con la disgraziata quanto ‘presunta’ unità d’Italia i Savoia proibirono la coltivazione del riso in Sicilia per favorire le risaie del Nord Italia. Solo negli ultimi anni il riso ha fatto la sua ricomparsa nella nostra Isola. Ma questa è una digressione. Quello che stiamo cercando di dire è che in Sicilia esiste una tradizione millenaria legata alla cucina. Consigliamo agli autori di questo libro di leggere il capitolo de Il Gattopardo là dove giuseppe Tomasi di Lampedusa descrive i piatti della cucina siciliana in occasione del matrimonio fra Tancredi e Angelica.  

Foto della caponata e delle arancine tratte da Wikipedia

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