INCHIESTA/ In Sicilia avanza a grandi passi la desertificazione ma la politica è assente. Che fine fa l’acqua dei depuratori? I dissalatori e il nodo delle dighe artificiali

Le previsioni di sette anni fa dell’ecologo Silvano Riggio sulla desertificazione della Sicilia si stanno puntualmente verificando. L’acqua del depuratore di Acqua dei Corsari, a Palermo, finisce ancora in mare?

Correva l’anno 2017, fine Luglio. La Sicilia era preda di un caldo asfissiante. Così decidemmo di intervistare Silvano Riggio, docente di Ecologia all’università di Palermo. Oggi riproponiano l’intervista, sia perché la sua previsione – la desertificazione della Sicilia – si va avverando, sia perché ci piacerebbe capire se certe assurdità segnalate sette anni fa sono ancora tali. Diamo la parola al professore Riggio: “L’ho detto e lo ripeto: la Sicilia va verso la desertificazione. La situazione sta cominciando a diventare grave nella parte occidentale della nostra Isola, dove non piove quasi più. Palermo è al centro di questa desertificazione ormai in atto. Ebbene, non solo non c’è la consapevolezza di quello che sta succedendo, ma si continua a ‘cementificare’ la città, eliminando il poco verde rimasto. Gli oltre mille alberi tagliati per fare posto al Tram sono l’ultima follia di una classe dirigente, o presunta tale, che sta uccidendo Palermo. E ancora più folle è l’acqua del depuratore di Acqua dei Corsari che finisce in mare invece di essere riutilizzata!”. (sopra, foto Wikipedia)

Il vizio demenziale di continuare a tagliare alberi

Non sappiamo se, ancora oggi, l’acqua del depuratore di Acqua dei Corsari, invece di essere riutilizzata, finisce ancora in mare. La risposta dovrebbe arrivare dal Comune di Palermo, dall’Amap, la società che gestisce il servizio idrico a Palermo e in altri Comuni della provincia e alla Regione siciliana. Quanto al taglio degli alberi, un po’ di miglioramento c’è: a parte il folle taglio degli alberi di viale Michelangelo e le potature ‘radicali’, per ora la situazione a Palermo sembra stabilizzata grazie alla disgrazia della guerra in Ucraina. Direte: che c’entra la guerra in Ucraina? Risposta semplice: perché, con molta probabilità, è lì che sono finiti i 600, forse 700, forse 800 milioni di euro che dovrebbero servire per realizzare altre sei o sette folli linee di Tram che cementificherebbero ulteriormente il capoluogo siciliano. Spiace che a evitare questo nuovo disastro sia una guerra e non la volontà politica della città. Ma tant’è. Detto questo, è necessario sottolineare che la presenza degli alberi in generale e degli alberi nei centri cittadini in particolare mitiga il caldo asfissiante che si registra nella stagione estiva. constatiamo, invece, che in Sicilia si progegue con gli incendi nei boschi di origine dolosa e con il tagli degli alberi nei centri abitati.

C’è qualcuno che si sta occupando della falda idrica di Palermo?

Torniamo al professore Riggio, alla sua intervista di sette anni fa. Palermo, alla fine di Luglio del 2017, sembrava un forno a microonde: “Sì – ci diceva il professore Riggio – la città sembra un forno a microonde. Sta succedendo quello che è stato previsto trent’anni fa: una specie di espansione del clima del deserto del Sahara. La Sicilia, soprattutto la Sicilia occidentale, è investita in pieno da questo fenomeno. Ripeto: la desertificazione della Sicilia è stata prevista trent’anni fa. E’ la politica che ha ignorato questo problema. Ora, però, gli effetti cominciano ad essere pesanti: oltre al caldo, che in certi giorni è insopportabile, c’è anche la siccità. Manca l’acqua e cosa fanno gli amministratori della cosa pubblica? Decidono di buttare in mare l’acqua del depuratore di Acqua dei Corsari! Hanno realizzato una condotta sottomarina e la usano per buttare in mare l’acqua depurata”. Sette anni fa Riggio raccontava che la falda acquifera di Palermo presentava problemi. La falda non viene alimentata da nuova acqua. Di conseguenza, ci raccontava il professore sette anni fa, “l’acqua del mare entra e salinizza la falda”. Sette anni fa abbiamo chiesto a Riggio perché la falda idrica della città non si ricarica. Ecco la sua risposta: “La falda non si ricarica perché Palermo è, in buona parte, una città ‘cementificata’. Le rare piogge, che tra l’altro portano acqua carica di veleni, fanno poco. Il verde che dovrebbe filtrare l’acqua e alimentare la falda, a Palermo è ben poca cosa. E quel poco che c’è – abbiamo citato l’esempio degli alberi tagliati per fare posto al Tram – viene pure in parte smantellato. Così mentre la falda si salinizza, la città ‘cementificata’, con poco verde, quando il sole picchia diventa invivibile. E la situazione peggiorerà di anno in anno in tutta la Sicilia, soprattutto, lo ripeto, nella parte occidentale dell’Isola”.

“Non è vero che la scienza non ha previsto quello che sta succedendo. L’effetto serra è stato ipotizzato nei primi del secolo passato da Svante August Arrhenius”

“Nella parte orientale dell’Isola piove un po’ di più – ci raccontava sette anni fa il professore Riggio -. Anche se, sempre più spesso, si tratta di piogge torrenziali, che creano altri problemi. L’ho detto e lo ripeto: il clima è cambiato. E non è vero che la scienza non ha previsto quello che sta succedendo. L’effetto serra è stato ipotizzato nei primi del secolo passato da Svante August Arrhenius. Solo Donald Trump non crede nell’effetto serra. Penso a quello che è successo in Siria. Anche se si parla della Siria solo per la guerra, va detto che in questo Paese ci sono state vere e proprie carestie dovute alla desertificazione. Milioni di persone hanno abbandonato le zone agricole colpite dalla siccità per riversarsi nelle città. In Sicilia il fenomeno è già in atto. Ma a Palermo si continuano a tagliare gli alberi per fare posto agli appalti milionari del Tram, si continua a ‘cementificare’ il territorio a colpi di varianti urbanistiche. Si pensa solo agli affari e ai soldi. Vuole sapere veramente cosa penso? Che si va verso la catastrofe” (qui per esteso la nostra intervista al professore Silvano Riggio del Luglio 2017).

In Sicilia quest’anno non ha piovuto tanto. Ma affermare che in tutta la nostra Isola ci si stata siccità è una sonora bugia. L’unica verità è la pressoché totale disorganizzazione nella gestione dell’acqua

Sette anni dopo la situazione non sembra migliorata: anzi. C’è un problema di clima, ma c’è anche un problema di gestione del territorio. Come scriviamo spesso, non è vero che, quest’anno, in tutta la Sicilia sono mancate le piogge. Ci sono zone della nostra Isola dove la siccità non ha dato tregue e zone dove l’acqua che arriva dal cielo non è mancata. Qui potete leggere un articolo dello scorso 4 Luglio dove facciamo il punto della situazione sulle piogge in Sicilia nei primi sei mesi di quest’anno: “Piogge in Sicilia sui Nebrodi, sui Peloritani e sulle Madonie. Non stiamo vaneggiando: abbiamo ripreso un articolo di MeteoWeb“. MeteoWeb, per la cronaca, è un autorevole giornale ooline che si occupa di clima e territorio. Di seguito una serie di articoli sulle piogge in Sicilia:

Qui un articolo del 18 Giugno: “La diga di Rosamarina non è a secco. Ieri piogge sparse tra Palermo, Trapani, Agrigento e Caltanissetta. L’articolo di MeteoWeb e il post di Mario Pagliaro

Qui un articolo di MeteoWeb del 5 Giugno: “Maltempo Sicilia, seconda giornata consecutiva di forti piogge nel cuore dell’isola

Qui un articolo sui danni provocati dalla siccità in Sicili all’agricoltura, danni che si registrano in alcune aree ella nostra Isola: “Facciamo un po’ di chiarezza sui danni che la siccità ha prodotto all’agricoltura siciliana. I problemi si registrano per lo più in alcune aree dell’entroterra e nelle zone di pianura del Catanese

Qui un articolo sulle contraddizioni: “Se la siccità in Sicilia aveva ‘seccato tutto’ com’è possibile che oggi i problemi siano le piogge che fanno marcire il fieno? Per caso c’è confusione e magari qualcuno che ci marcia?

Foto sopra: diga di Rosamarina

Fino al 2018 la Regione siciliana si è disinteressata dalle diche artificiali isolane. La situazione è cambiata?

Come si può notare, le piogge, in Sicilia, non sono mancate. Manca la capacità di gestire i problemi legati alla desertificazione della Sicilia in atto. Ecco cosa scrivevamo nel Gennaio del 2018: “Noi pensavamo che anche le dighe presenti in Sicilia consegnate a Sicilacque spa insieme con il cosiddetto ‘Sovrambito’ (grandi condotte, dighe, potabilizzatori) fossero gestite dalla stessa Sicilacque”. Ebbene, “Non tutte le dighe della nostra Isola sono gestite da Sicilacque spa. E ci hanno pure spiegato che le stesse dighe gestite da Sicilacque spa presentano una gestione particolare: la società gestisce l’acqua di tali dighe, ma non le stesse dighe! Delle dighe si occupa, o si dovrebbe occupare il Governo nazionale attraverso i propri uffici (la Direzione generale per le dighe e le infrastrutture idriche ed elettriche, che fa capo al Ministero della Infrastrutture). Qual è la notizia? La notizia che abbiamo appreso informalmente è che la Sicilia non partecipa alle riunioni convocate a Roma per affrontare i problemi legati alle dighe. E, almeno negli ultimi anni, non ha mai chiesto fondi per sistemare le dighe siciliane oggi in buona parte abbandonate: o lasciate a metà, o prive di manutenzione. In questo caso la responsabilità non è romana, ma siciliana. Responsabilità che, ovviamente, non riguarda il Governo regionale che si è insediato da qualche mese (il riferimento era al Governo regionale siciliano di Nello Musumeci che si era insediato nel Novembre del 2017 ndr). Al quale, però, chiediamo: con la vostra gestione (il riferimento è all’assessore alle Infrastrutture, Marco Falcone) è cambiato qualcosa? Come abbiamo scritto più volte, chi gestisce alcune delle dighe siciliane le svuota gettando l’acqua in mare per scongiurare pericoli. Non sarebbe più corretto partecipare ai tavoli romani per cercare di racimolare fondi, completare le dighe incomplete ed effettuare i lavori di manutenzione? Non è assurdo che, mentre si parla di crisi idrica, l’acqua raccolta nelle dighe finisca in mare, emulando la follia che va in scena nel depuratore di Palermo, ad Acqua dei Corsari, che, come già accennato, getta in mare 500 litri di acqua al secondo?” (qui per esteso il nostro articolo del Gennaio 2018). Rispetto a sei anni fa è cambiato qualcosa?

Perché non realizzare i dissalatori da alimentare con l’energia prodotta da pale eoliche e pannelli fotovoltaici? Le dighe artificiali servono per l’agricoltura e, al limite, per fornire l’acqua ai centri abitati. Attviità sportive, pesca e oasi naturali sono fuori luogo

La siccità in Sicilia era un problema negli anni ’80 del secolo passato. L’allora presidente della Regione siciliana, Rino Nicolosi, riuscì a risolvere la crisi idrica di Agrigento e di tanti Comuni di questa provincia realizzando in poche settimane un secondo modulo di dissalazione dell’acqua presso lo stabilimento petrolchimico di Gela. Perché non realizzare oggi tre o quattro dissalatori nella nostra Isola? Tra l’altro, le tecnologie di dissalazione dell’acqua, oggi, rispetto a quarant’anni fa, sono molto migliorate. Allora l’energia per far funzionare gli impianti di dissalazione la fornivano gli idrocarburi; oggi la Sicilia ha a disposizione energia prodotta da pale eoliche e pannelli fotovoltaici in grandissima quantità. Anche allora c’erano aree della Sicilia dove pioveva e aree dove non pioveva. Questo è il motivo per il quale sono stati realizzati i collegamenti tra le dighe artificiali della Sicilia: per trasferire l’acqua accumulata dalle aree piovose alle aree non piovose. Tali collegamenti funzionano? Il problema è che le dighe artificiali siciliane sono gestite male. Ne abbiamo scritto in un’INCHIESTA (Come può non esserci acqua in Sicilia se le piogge non sono mancate e se si contano oltre quaranta dighe artificiali? Oasi naturali, attività sportive, pesca. E l’agricoltura…). Alcune di queste dighe non sono state completate (è il caso della diga di Blufi); ci sono dighe siciliane piene di fango perché gestite male; altre dighe sono appannaggio di attività sportive; altre dighe sono di fatto riserve di pesce di acqua dolce; l’acqua di alcunee dighe viene utilizzata per i centri abitati; altre dighe ancora sono finite nelle mani degli ambientalisti. Sono assurdità. Passi qualche attività sportiva o di pesca nelle dighe artificiali, dando comunque la precedenza all’agricoltura; ma che le dighe realizzate per gli agricoltori vengano gestite da soggetti estranei al mondo agricolo è sbagliatissimo. Già gli ambientalisti, in Sicilia, ad esempio, gestiscono tante aree protette prendendo fondi dalla Regione. Con tutto il rispetto per gli ambientasti, che svolgono un ruolo importante nella società di oggi, il loro ruolo è quello di controllare l’operato della Regione siciliana, non certo quello di gestire le Riserve naturali con i fondi regionali. Questa prassi crea un oggettivo conflitto di interessi che non aiuta.

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