Il voto a maggioranza è un metodo che va bene per i condomini non certo per i 27 Paesi Ue. Il PPE farebbe bene a ripartire dai territori evitando di andare dietro a un’inesistente ‘patria europea’

di Andrea Piazza

Non condivisibile la posizione espressa su tale questione dal Presidente della Repubblica Mattarella in occasione della visita dei reali di Spagna in Italia

I reali di Spagna, Re Filippo VI e la Regina Letizia, sono stati ricevuti al Quirinale dal nostro Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, unitamente al Ministro degli Esteri, Antonio Tajani. L’incontro istituzionale è stata l’occasione per ribadire l’amicizia tra i due popoli e fare il punto sulle problematiche che attanagliano le politiche comunitarie anche in relazione al mutamento progressivo del quadro internazionale. In particolare, il Presidente della Repubblica ha colto la palla al balzo (in condivisione sentimentale con il Ministro Tajani) per ribadire la necessità di intervenire sui meccanismi di voto, surrogando il voto a maggioranza all’unanimità. Il riferimento è all’Unione europea dove le decisioni che vincolano i 27 Paesi che ne fanno debbono essere prese all’unanimità, se anche un Paese dice “No” la decisione non passa. (Sopra, foto di condomini dove le decisioni vengono prese a maggiranza tratta da Wikipedia).

L’unanimità nell’Unione europea è sinonimo di democrazia

Per impostazione ideologica sono contrario alla proposta di superare eventuali impasse deliberativi con il voto a maggioranza. Riscontro che, in gran parte dell’area culturale moderata sia di centrodestra che di centrosinistra, alberga un sentimento votato al compromesso, piegando il principio agli interessi di rappresentanza allargata (sovranazionale). Resto nella convinzione che le suddette forze politiche commettono un errore grave di impostazione valoriale. Innanzitutto il nostro sistema interno (nazionale) è imperniato sul principio della deliberazione a maggioranza necessario per la governabilità in senso lato. È strutturato ed operante in tutti gli ambiti pubblici a partire dalle deliberazioni parlamentari votate, fino alla collegialità decisionale del potere esecutivo; in ambito privato lo sono, ad esempio, le deliberazioni condominiali. In tutta sincerità, talvolta resto basito allorquando viene astrattamente ipotizzata, per ragioni di funzionamento, la logica sovranazionale di piegare la sovranità di uno Stato, superando la deliberazione all’unanimità con il voto a maggioranza. Nel dizionario il sovranismo è “la qualità giuridica pertinente allo stato in quanto potere originario e indipendente da ogni altro potere ed in senso figurato la superiorità assoluta”.

Certe idee sono abominevoli

L’idea che uno Stato sovrano, secondo taluni cultori liberali, possa essere accostato nelle regole di funzionamento ad una deliberazione “condominiale” è semplicemente abominevole, oltre che pericoloso, perché violerebbe socialmente il principio di rappresentanza. Non volendomi dilungare e richiamando una massima “in claris non fit interpretatio” ciò che è chiaro non necessita di interpretazione, mi chiedo e chiedo al lettore se, alla luce dei prossimi mutamenti geopolitici ad iniziare dall’insediamo del 47esmo Presidente degli Stati Uniti d’America, Donald Trump, quale sarà la sorte di questa particolare area culturale nazional centrista. Siamo tutti discendenti dall’impero romano contaminato anche dalla cultura ellenistica e, per nostra estrazione culturale, siamo tendenzialmente un popolo moderato “in media stat virtus“, poco incline alle contestazioni di piazza, a differenza dei nostri cugini d’oltralpe. La collocazione, in ambito di gruppi politici europei è prevalentemente nel PPE (Partito Popolare Europeo ) e, marginalmente, nell’area del PSE (Partito Socialista Europeo). Entrambi i soggetti politici, unitamente ai Verdi Europei, sono i colpevoli delle deliberazioni ideologiche sul Green Deal. Un ‘presunto’ ambientalismo che è in buona parte responsabile della gravissima e prevedibile crisi economica europea. La saggezza dei nostri padri costituenti, che si sono formati alla “scuola della vita sul campo di battaglia”, che hanno conosciuto il totalitarismo nazionale (a differenza dei nostri politicanti allevati in club ristretti) con lungimiranza, nel primo articolo della nostra carta fondante, hanno rimarcato il principio non derogabile che “la sovranità appartiene al popolo”. È evidente che il termine associato alla sovranità non è una grave malattia infettante ma una radice portante le fondamenta dell’essere cittadini italiani.

Se i moderati vogliono riportare alle urne chi non va più a votare debbono fare ‘outing’ ripartire dai territori

Conseguente anche l’essere sovranista può significare e rispecchiarsi nell’essere una persona moderata. Rimanendo con i piedi a terra, in questa Unione pervasa dall’€urocrazia, le deliberazioni assunte dagli Stati fondanti come Francia e Germania sono da sempre sincronizzate all’interesse nazionale, mentre noi italiani ci caratterizziamo per l’ossessivo interesse a costruire l’inesistente ‘patria europea’: su tale punto il nostro Presidente della Repubblica è l’espressione più alta. In conclusione, se l’area culturale dei moderati vuole realmente crescere ed intercettare il sostegno del partito maggioritario, quello del non voto, deve fare ‘outing’ e rielaborare il proprio asse valoriale ripartendo dalle ragioni del proprio territorio, ovverosia dal sovranismo moderato, diversamente sarà destinato all’irrilevanza.

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