Il record di New York City dove vivono 800 comunità linguistiche diverse. Un terzo degli abitanti dell’area metropolitana di questa città in casa non parla in inglese

di Nota Diplomatica

Nel mondo si contano da sette a otto mila lingue diverse. Alcune rischiano di scomparire come la lingua bretone in Francia e la lingua dei Maori in Nuova Zelanda

I linguisti stimano che i popoli della Terra parlino tra le sette e le ottomila lingue. È un numero necessariamente molto impreciso che dipende da cosa sia una ‘lingua’ rispetto a un dialetto e anche da cosa si intende per ‘parlare’; esistono infatti idiomi come il latino che sono utilizzati perlopiù in forma scritta. Le lingue, come le persone che le usano, sono entità viventi che si evolvono e, come le società umane, crescono se sono ‘in forma’ oppure, come in altri casi, vanno verso l’estinzione. Da tempo, sembra dominare la seconda tendenza; quella delle lingue che muoiono insieme alle generazioni che le parlavano. Le cause dell’attuale moria degli idiomi ‘minori’ sono tante e ovvie; da ascriversi oltre alla ‘vita moderna’, alla ‘massificazione’ sociale promossa dai moderni mezzi di comunicazione. È il caso della lingua ‘bretone’, parlata nella Francia costiera. Dopo un netto calo partito dagli oltre 1 milione di parlanti del 1950 fino ai circa 200.000 nel primo decennio del XXI secolo, il bretone – schiacciato dal francese, dalla televisione e dal sistema scolastico della Francia – è stato classificato come “seriamente a rischio” dall’UNESCO nel suo Atlante delle lingue del mondo in pericolo. Si calcola che, oggi, venga utilizzato quotidianamente da solo 35mila persone. Un caso simile è quello della lingua dei Maori della Nuova Zelanda, spazzata via dalla scolarizzazione in lingua inglese. In tutto, si stima che, ora come ora, siano almeno 700 le lingue in via di prossima estinzione, alcune parlate da solo qualche decina di individui.

Ci sono anche casi di re-introduzione di lingue cosiddette morte come l’ebraico. Le lingue consolidate che acquistano nuove forme

Ci sono anche rari casi che seguono un tragitto inverso, come la re-introduzione di una lingua morta, l’ebraico, un elemento portante della creazione dello Stato d’Israele. Si assiste anche all’emergere di nuovi ‘gerghi’ a livello internazionale – come quello relativo all’informatica, con i ‘computer’ e i ‘bits and bytes’ -novità orgogliosamente osteggiate dai francesi che insistono per parlare di ‘ordinateur’ e di ‘octet’, termini questi che perlopiù non superano i confini nazionali… Resta l’interessante questione di dove vanno a spirare le lingue morenti, e c’è una risposta curiosa: è New York City il cimitero degli idiomi in fin di vita. La città, un’incredibile calamita per le popolazioni minori e ‘sradicate’ del mondo, dovrebbe ospitare – secondo un recente censimento – gente di oltre 800 comunità linguistiche diverse. Dei circa 20 milioni di abitanti dell’area metropolitana, un terzo non parla l’inglese in casa. Le singole culture si concentrano tendenzialmente in zone specifiche. Come capitato a suo tempo con Little Italy per gli italiani, così oggi la gente di lingua russa si concentra nel quartiere di Brighton Beach, mentre i cinesi sono a Flushing e quelli di lingua spagnola un po’ dappertutto… La presenza a New York di tanti ‘transfughi linguistici’ ha un impatto a due sensi. Le lingue ‘in arrivo’ lasciano anche le loro tracce nel predominante inglese locale, con l’effetto di porre sempre più chiaramente le basi di una sorta di emergente dialetto caratteristico ‘newyorkese’ che lentamente si allontana dalla lingua ‘americana’ del resto degli Usa. Le lingue dominanti non solo si consolidano, ma si dividono anche, creando nel tempo sempre nuove forme. 

Foto tratta da Wikipedia

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