Il depistaggio di Stato non è deliberato dal singolo ma imposto dal sistema di potere sovraordinato con il motto “o a vita o la morte”

di Andrea Piazza

Il “depistaggio di Stato” è un giochetto che ha coinvolto a posteriori anche il mio amato e compianto fratello

Cari amici lettori, l’articolo offre indirettamenteuno spunto riflessivo… A differenza di tanti altri “amici inclusi” NON HO ALCUN INTERESSE a giudicare la persona e/o a puntare il dito per come ci ha abituato la nostra società che, nei suoi ritmi “feroci”, un giorno ti celebra come se fossi un eroe ed il giorno successivo di tratta corne il primo o uno dei tanti carnefici. Dalle stelle alle stalle. Al contrario, non accade mai che dalle stalle si passi alle stelle. La medesima considerazione è valida per il magistrato Gioacchino Natoli (qui un articolo dell’Unità), per Giuseppe Pignatone e per tutte le figure apicali che rappresentavano i vertici della Magistratura oggi passati a miglior vita. Lo stesso metro di valutazione lo potremmo applicare a tantissime altre storie siciliane che hanno come denominatore comune il “depistaggio di Stato”, giochetto che ha visto a posteriori anche il mio amato e compianto fratello. (sopra, foto tratta da Antimafia Duemila)

Le confidenze del giudice Rosario Priore al giornalista Andrea Purgatori

Se dovessimo fare una casistica di indagini per così dire illogiche, sotto questo schema potremmo riscrivere la storia d’Italia, non dimenticando la tragedia di Ustica, la strage di Bologna, la mancata perquisizione a casa di Totò Riina in via Bernini e via continuando. A proposito di un altro grande mistero rimasto incompiuto a differenza della tragedia, rammento una confidenza a domanda diretta che mi fece il grande giornalista di inchiesta Andrea Purgatori quando venne ad intervistarmi a casa per la rubrica Atlantide. Mi confidò che anche lui era da considerarsi un sopravvissuto, nel senso che il Giudice Istruttore Rosario Priore gli aveva confidato, in forza di evidenze investigative, che era stato inserito nella lista delle persone da sopprimere ma che la deliberazione di morte non era stata eseguita perché non erano riusciti ad individuare la sua fonte interna.

Salvo Lima assoldato dalla CIA nella prima guerra di mafia?

Ritornando nel solco della considerazione principale, è sempre di più evidente nell’analisi storica degli avvenimenti stragisti del 1992 – vicende che hanno dato il via da Maastricht ai cambiamenti della nostra storia geopolitica come Italia/Sicilia nazione – che l’impronta della mafia è sempre più sbiadita. Che la tesi classica che dovrebbe portare le nostre istituzioni, e in particolare il terzo potere dello Stato, a considerare il movente stragista riconducibile alla definitività delle condanne in relazione al maxi processo (celebrato all’aula Bunker dell’Ucciardone oggi che porta il valoroso nome di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino) è, per non citare la definizione di Fantozzi sulla Corazzata Potëmkin, una grande presa in giro. Anni addietro un giornalista di inchiesta, attingendo da verbali desecretati, è giunto alla conclusione che Salvo Lima era stato assoldato dalla CIA nella prima guerra di mafia e probabilmente era vicino al contesto anche da prima. Esistono immagini nelle quali Lima è accanto al Senatore Robert Kennedy (foto sopra), fratello del grande Presidente John Fitzgerald Kennedy, anch’esso eliminato a Dallas in circostanze rimaste oscure.

Il movente reale delle stragi

Il 1992 è stato un anno di svolta internazionale, è cambiato tutto dopo la caduta del muro di Berlino alla fine del 1989 e l’implosione della “guerra fredda”. In buona sostanza, da certi ambienti (gli stessi in grado di condizionare la storia nazionale di un’Italia a sovranità limitata che dal 1992 si è evoluta in negativo nel doppio passaggio a sovranità limitata rafforzata USA + UE) saranno arrivati i compiti per casa’ non scritti’ in base ai quali si sarebbe dovuto procedere in un determinato modo. Alle suddette frequenze ognuno che tiene famiglia è giuoco forza obbligato e non può sottrarsi al costo della propria vita… Forse è questo il reale movente che portò eroicamente alla morte Giovanni Falcone, la moglie e gli angeli custodi della scorta, replicato nel breve volgere di tempo con Paolo Borsellino. Davanti alla morte a condizioni, ognuno di noi che decisione assumerebbe?

Una giustificazione non penalmente scriminante

Sicuramente si tratterebbe di una giustificazione non penalmente scriminante. Ma i nostri processi a posteriori che dovrebbero preliminarmente rigenerarsi al contesto storico con il senno del poi, a mio modesto avviso, non farebbero giustizia. Sotto un profilo etico è assolutamente lodevole l’opera della Procura nissena guidata dal coscienzioso dottor Salvatore De Luca, ma dovrebbe abbracciare tutta la nostra storia nazionale; cosa, questa, che non ci riporterebbe in ogni caso indietro i nostri cari. Il mondo è di per sé ingiusto, la reale democrazia in senso filosofico non esiste e nella nostra storia di Sicilia i nostri cari caduti sotto il piombo o eliminati con l’acido hanno trovato sempre sul sentiero della verità il depistaggio di Stato che non è deliberato dal singolo ma imposto con il motto “o a vita o la morte” dal sistema di potere sovraordinato-reale decisore, tutto il resto è fuffa.

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