Ieri 22 Novembre il mondo ha ricordato John Friztgerald Kennedy, il presidente americano della “Nuova frontiera” ucciso a Dallas nel 1963

E’ stato in assoluto il presidente americano che è riuscito ad entrare nel cuore di tante gente, negli Stati Uniti e in altri Paesi del mondo

di Frate Domenico Spatola

Il 22 Novembre del 1963 Veniva ucciso il presidente John Friztgerald Kennedy (foto sopra tratta da Avvenire), arrivato alla Casa Bianca, per il Partito Democratico tre anni prima. Di origine irlandese e cattolico, raggiunse la presidenza superando, per un pugno di voti, l’avversario repubblicano Nixon. Il confronto tra candidati li immortalò insieme. Sapeva di avere nemici, ma era da subito entrato nel cuore della gente, che ne apprezzava la voglia del dialogo con l’avversario fino al compromesso. Nel 1962, con fermezza, scongiurò il conflitto nucleare per i missili sovietici a Cuba. Il mondo occidentale aveva investito empaticamente su di lui, come mito e messia moderno, per ricostruire la generazione uscita dalla guerra, con il suo verbo democratico sprezzante di ogni dittatura, quella sovietica in primis. Sfidò, con il discorso sulla libertà dei popoli, alla “Porta di Brandeburgo”, il “regno del male” (Reagan). La Berlino, uscita spaccata dalla Conferenza di Yalta nel 1945, vedeva acuita la divisione tra Est e Ovest, dal famigerato “muro”, di costruzione sovietica. Verrà abbattuto, oltre trent’anni dopo, nel 1989.

L’uomo politico che sognava un mondo libero

Kennedy fece sognare il mondo libero, mentre la cortina di ferro, nei Paesi sovietici calava infittendosi sui popoli dominati. Il 1962 fu per Kennedy anno prestigioso, per la grande popolarità nel cuore della gente. Fu osannato, nelle capitali europee, e accolto con bagni di folla. A Roma, l’incontro con Papa Giovanni fu semplicemente cordiale, come tra parenti. Ma il 22 novembre 1963, in visita di Stato, a Dallas, fortemente repubblicana, volle attraversare la città, nella sua decappottabile. Non accolse il consiglio per una maggiore precauzione. Ad una svolta del percorso, degli spari provenienti dal sesto piano del palazzo prospiciente gli furono fatali a spappolarne il cervello. Le telecamere immortalarono Jacqueline, la moglie, mentre istintivamente inseguiva qualcosa dietro il capo ormai declinato del presidente. Il dopo, fu il finimondo.

Tanti pistoleri per un solo bersaglio

Catturato l’assassino, Lee Harvey Oswald, che non si riconobbe mai colpevole, né gli diedero il tempo di poterlo dimostrare, perché Jack Rubby, il gangster probabile suo complice, lo freddò. La Commissione Warren, istituita da subito, non porterà a nulla di fatto. Si chiuderà con il verdetto scontato e senza un colpevole. Sapevano infatti che erano stati in tanti i pistoleri, come appurato dalle analisi balistiche delle traiettorie diverse e inseguibili nelle molteplici direzioni, anche opposte. Quel giorno moltissimi piansero l’illusione mancata. Il sogno non era più invincibile, e l’utopia rimasta tale. L’opposizione al riconoscimento dei diritti civili degli afro-americani, possibile causa dell’uccisione del presidente, farà, cinque anni dopo, altre due eccellenti vittime. Il 4 aprile 1968, a Memphis, verrà ucciso Martin Luther King e due mesi dopo, il 6 giugno 1968 a Los Angeles, dal giordano Shirahn B. Shirahn, Robert Kennedy, che correva, favorito nei sondaggi, per la presidenza degli USA.

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