“I promessi sposi” ovvero l’analisi dell’animo umano tra abuso sulle libertà delle coscienze e la divina provvidenza silente ma sempre presente

di Frate Domenico Spatola

Un romanzo da riscoprire

“Era il 7 novembre 1628…”. In tale data si apre il romanzo di Alessandro Manzoni: “I promessi sposi”. Don Abbondio, durante la sua passeggiata, fu intimato dai bravi di Don Rodrigo, signorotto del paese che insisteva “sul ramo del lago di Como”, di non celebrare il matrimonio tra Renzo e Lucia. “Non s’ha da fare!”. Voleva scapricciarsi. Don Abbondio, il curato, non si oppose. Non aveva coraggio, né sapeva darselo. La sequenza dei personaggi unici, è lunga e trattata dall’autore con finezza psicologica e incisività per lo spettro delle passioni umane. Indelebili si succedono, in narrazione pretestuosamente storica, e in libertà fantastica i singolari personaggi eroici: frate Cristoforo e il cardinale Federigo, e lo stesso “Innominato”, dopo la “notte della conversione”, ma anche la pletora delle mezze figure, dai piccoli compromessi. Suor Gertrude, più nota come “monaca di Monza”, è denuncia per l’abuso patronale e disumano sulla libertà delle coscienze.

Un’opera che è lo specchio del mondo

Campionario vasto di singoli immersi in coralità, descritte in miniature anche trattandosi delle folle immortalate a Milano durante la carestia e la peste. Quadri di dolore, come della madre di Cecilia, morta di peste tra le sue braccia. Mondo, trattato a specchio per il nostro. Perché, per l’autore, cangianti sono le circostanze, ma l’animo umano gli risulta di sempre. Con passione racconta comunque la vita, da divina provvidenza guidata, silente e presente tra le righe. Capolavoro assoluto della letteratura italiana, confermato dall’autore che a Firenze era stato dieci anni a “lavare i panni nell’Arno”. Il suo romanzo diventò pietra miliare ineludibile, di ogni letteratura, italiana e universale. Oggi negletto, mentre più meritevole sarebbe di riferimento per gli alunni delle nostre scuole.

Foto tratta da Wikipedia

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