“I Gazzettieri” ultima fatica editoriale del coraggioso giornalista Enzo Basso. Le magagne della carta stampata in Sicilia e il perché nella nostra Isola i giornali cartacei sono profonda crisi

Enzo Basso si conferma un giornalista vero, senza peli sulla lingua

Enzo Basso è un giornalita siciliano coraggioso che non ha mai avuto paura di andare controcorrente. E’ stato il protagonista di un settimanale che nella nostra Isola è rimasto un caso unico: Centonove. Oggi scrive libri di inchiesta, perché le inchieste giornalistiche, alla fine, sono rimaste la sua passione. L’ultima sua fatica è un instant book dal titolo I Gazzettieri, 96 pagine, edizioni Clipping, 10 euro, in distribuzione nelle edicole siciliane e su Amazon. Così è arrivato a noi uno scritto che presenta il nuovo libro di Enzo Basso che riprendiamo volentieri. “La crisi della carta stampata – leggiamo – ha un suo Sud: i tre quotidiani regionali siciliani, messi insieme, non riescono a raggiungere la vetta delle 25mila copie diffuse dall’Unione
Sarda
, il giornale di Cagliari. Ma, se si mette insieme la diffusione scorporata dei tre quotidiani, La Sicilia, Il Giornale di Sicilia e La Gazzetta del Sud, non si arriva neanche alle 18mila copie vendute in edicola da La Nuova Sardegna, il giornale di Sassari, la seconda città sarda. Ma a cosa è dovuta questa emorragia di copie, se la Sicilia conta cinque milioni di abitanti, a fronte del milione e mezzo della Regione Sardegna?”.

“Una crisi che è anche di credibilità e di disaffezione verso il prodotto giornale”

A questa domanda risponde lo stesso Basso (foto sopra): “Una crisi che è anche di credibilità e di disaffezione verso il prodotto giornale. Negli anni i quotidiani regionali, che prima vendevano la media di sessantamila copie, sono dimagriti di pari passo con la crescita dei servizi informativi sulla rete. Ma nel panorama della crisi generale della carta stampata c’è un suo Sud, che interessa anche la Calabria e la Puglia: non a caso il Quotidiano del Sud, in Calabria non certifica le sue copie e la Gazzetta del Mezzogiorno di Bari, passata a una nuova gestione dopo il dissequestro delle aziende dell’ex presidente degli editori Mario Ciancio, si ferma a 5500 copie e bussa come le altre testate al Dipartimento della legge sull’editoria, che già foraggia una sessantina di giornali in Italia”. Basso cita anche il caso del Quotidiano di Sicilia, il giornale color salmone diretto da Carlo Alberto Tregua, che “adotta una singolare vendita a pacchetto che frutta da anni più di un milione di euro all’anno di contributi dallo Stato che si aggiungono ai contributi dell’Irfis, l’ente regionale che ha finanziato di recente anche le altre testate”. Amaro il commento di Basso: “Un rapporto ambiguo, quello delle sovvenzioni di Stato, che ha portato i giornali ad appiattirsi sempre più: mancano le inchieste e gli approfondimenti che hanno permesso ad altre testate nazionali di tenere il mercato, nonostante il calo generale delle copie. Ma proprio indagando nelle spire dei finanziamenti non dovuti, si scoprono anche truffe allo Stato protrattesi nel tempo, senza il tempestivo intervento degli uffici preposti ai controlli di legge. Un viaggio-inchiesta che parte dalle storie dei giornali isolani e documenta come parte dei guasti di oggi, siano il frutto di consolidate alleanze saltate nel tempo, che hanno messo a nudo l’incapacità dei quotidiani di misurarsi con le impietose leggi del mercato editoriale”.

Nell’analisi sul perché in Sicilia non si leggono i giornali va preso in considerazione l’intreccio tra crisi economica e crisi demografica

Ci permettiamo anche noi un commento, visto che anche noi, come Enzo Basso, abbiamo vissuto la stagione della carta stampata. Cominciando col dire che i quotidiani della Sicilia degli anni ’80 e degli anni ’90 del secolo passato non erano molto diversi da quelli di oggi. Quando è iniziata l’informazione online i cittadini siciliani hanno mollato i quotidiani che leggevano perché hanno avuto un’alternativa. Enzo Basso segnala che in Sardegna i cittadini continuano ad acquistare i quotidiani anche in presenza dell’informazione online. In parte ciò dipende dalla qualità dell’informazione e, in parte, dal fatto che in Sardegna sono abituati a leggere i giornali più di quanto avviene ed avveniva in Sicilia. Nell’analisi sul perché in Sicilia non si leggono i giornali va preso in considerazione l’intreccio tra crisi economica e crisi demografica. Dalla fine della Prima Repubblica ad oggi lo Stato italiano, con l’ausilio dei politici siciliani ‘ascari’, ha fatto “un buon lavoro”, nel senso che ha derubato alla Regione siciliana tutto quello che poteva derubare: 9 miliardi di euro dal Fondo sanitario regionale siciliano, oltre 6 miliardi di euro che lo Stato doveva alla Regione siciliana che sono stati cancellati dal Bilancio regionale dall’Assemblea regionale siciliana nel 2015; e parti sostanziali di IRPEF e IVA che, a norma dello Statuto autonomistico siciliano, dovrebbero restare nelle ‘casse’ della Regione. Più i fondi europei destinati alla Sicilia non spesi che, dal 2009 in poi, con vari raggiri, finiscono nel Nord Italia. Il risultato è la crisi demografica che è stata analizzata di recente dal Segretario politico di Siciliani Liberi, Ciro Lomonte.

Ma se la stragrande maggioranza dei giovani siciliani laureati ogni anno va via dalla Sicilia – più i giovani che vanno a studiare nel Nord Italia o all’estero per non tornare più – chi è che dovrebbe leggere i quotidiani della nostra Isola? Se la sono mai posta questa domanda i politici e gli editori della Sicilia?

La Sicilia, ha scritto Lomonte, “ha perso nel 2023 altri 20mila abitanti (19.504). Le nascite sono al minimo storico. E la situazione demografica è persino peggiore: perché decine di migliaia di studenti universitari e lavoratori che hanno da tempo lasciato la Sicilia non hanno cancellato la loro posizione all’anagrafe e risultano formalmente ancora ‘residenti’. Quando di fatto non risiedono da tempo più in Sicilia. Catania, per la prima volta dal 1951, cioè dall’immediato dopoguerrra – scrive sempre Lomonte – scende sotto i 300mila abitantiRisiedono a Catania solo 298.209 abitani. Nel 1981, Catania aveva 380.328 abitanti. Una catastrofe demografica che rende impossibile qualsiasi sviluppo della città. A Palermo ci sono solo 171.953 residenti con età fino ai 30 anni. E a 30 anni un uomo o una donna non sono ‘giovani’. Giovani lo sono fino ai 25 anni”. Non c’è nemmeno bisogno di descrivere la Palermo di oggi. Una città con le strade abbandonate da oltre 40 anni che ormai cadono a pezzi provocando anche incidenti mortali, complici gli eterni lavori pubblici, dal cablaggio (lavori in parte ripetuti due volte nell’arco di un decennio) ai cantieri sparsi qua e là. Strade al buio, ponti cittadini traballanti, immondizia abbandonata lungo le strade, scuole pubbliche con risorse sempre più scarse e con ‘classi-pollaio’, ospedali pubblici in carenza di medici, di infermieri e di posti letto, spesa sociale in drastica diminuzione, riduzione continua degli sportelli bancari, confusione annonaria e crisi delle attività commerciali, mercati storici in affanno (nel silenzio generale è sparito il mercato storico della Vucciria del quale rimangono il celebre quadro di Renato Guttuso e il degrado). “Passiamo infine a Messina – scrive sempre Lomonte -. La popolazione è ormai di poco superiore ai 215mila abitanti (217.895). A Messina è difficile incontrare una persona con meno di 30 anni: ce ne sono soltanto 54.741 (il 25% della popolazione). Se poi andiamo negli altri due centri urbani costieri, Siracusa e Trapani, la situazione è persino peggiore. A Siracusa ormai risiedono soltanto 116.051 persone; e a Trapani 55.218. Chiamare ‘capoluoghi di provincia’ Caltanissetta (58.342 abitanti), Enna (25.367 abitanti) e Agrigento (55.317 abitanti) è ormai solo una convenzione statistica” (qui per esteso le consioderazioni di Lomonte sulla crisi demografica della Sicilia). I giovani siciliani che vanno via sono quelli che dovrebbero sostenere i quotidiani cartacei. I siciliani che rimangono in questo ‘bordello’ per quale motivo dovrebbero acquistare i quotidiani siciliani? A parte qualche titolo a effetto, la carta stampata siciliana ha fatto qualcosa per drenare questo disastro? Quando Enzo Basso descrive “una crisi che è anche di credibilità e di disaffezione verso il prodotto giornale” ha torto?

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