Gesù esplicita la sua missione sulla Terra di “Pane vivo” che fa superare la morte provocando un terremoto tra le autorità e anche tra i suoi discepoli. E sulla manna…

di Frate Domenico Spatola

Commento al Vangelo della XX Domenica del tempo ordinario (anno B): Giovanni 6, 51-58

Delusa rimase la folla, perché Gesù aveva rinunciato ad essere il suo re. Preoccupate furono le autorità religiose perché Gesù instaurava una nuova relazione con Dio: diversa e destabilizzante da quella da loro imposta al popolo. Anche i discepoli alla fine lo abbandoneranno. Gesù aveva rivendicato la propria identità divina. “Io sono” era il nome di Iahvè. Aveva esplicitato la sua missione di “Pane vivo” che fa superare la morte. Ne indicava l’origine divina e non spaziale, dichiarandolo “disceso dal Cielo”. Per comunicare lo Spirito Santo, che è la vita eterna, la condizione unica era mangiare la sua “Carne, data per la vita del mondo”.  Rivoluzionato era il concetto di Dio. Non più colui cui si devono offrire sacrifici, perché egli si offre attraverso la sua Umanità. Tale copovolgimento allarmò i Giudei: “Come può Costui darci la sua carne da mangiare?”. Gesù insistette invitando a mangiare la sua carne e a bere il suo sangue.  Aveva anticipato il Battista, quando presentando ai discepoli Gesù, nell’incipit del Quarto Vangelo, lo dichiarò “Agnello di Dio”. Evocava con quella immagine l’esodo per la libertà d’Israele del tempo di Mosè. Ora lo superava perché la carne mangiata oltre che aiutare nel cammino, e il sangue oltre che liberare dalla morte eterna, produrrano con Gesù intimità osmotica, fondendosi con lui per dilatare la propria capacità di amare. L’affondo finale lo riservò a chi confidava ancora nella manna. Quella non fu cibo dal cielo, perché i padri che la mangiarono, morirono tutti nel deserto.

Foto tratta da La Luce di Maria

Pubblicato da Luigi Natoli edito da I Buoni Cugini editori

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