Gesù aveva una grande e santa pazienza e cercava di far ragionare anche chi non credeva in lui

di Frate Domenico Spatola

20 Marzo 2024, Mercoledì della Quinta settimana di Quaresima: Giovanni 8, 31-42

A chi dichiarava di credergli, Gesù dettava le condizioni: accettare la sua Parola. Ciò li avrebbe reso discepoli nella verità che fa liberi. Risposero, piccati, di non essere stati mai schiavi di nessuno, perché discendenti di Abramo. Gesù chiarì sulla loro schiavitù, che consisteva nel peccato del rifiuto di lui quale Figlio, che li poteva aprire alla intimità col Padre (“oikìa”). Aggiungeva che non li avvantaggiava il dichiararsi appartenenti ad Abramo, se le loro opere erano in discontinuità con quelle paterne. Essi infatti tramavano per ucciderlo, mentre Abramo non lo avrebbe mai fatto. Figli si diventa compiendo le opere del padre come Gesù faceva con quelle del Padre suo. Ma essi non conoscevano Dio, perché non identificavano in Gesù lo stesso agire. Passarono alle offese: “Noi non siamo nati da prostituzione!”. Alludevano. Ma alla dichiarazione di avere Dio come padre, Gesù ne denunciò la falsità: “Non mi amate, perché non riconoscete, in me, il Figlio che lui ha mandato!”.

Foto tratta da di briciole di Vangelo

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