G7 Agricoltura e Pesca ad Ortigia da dimenticare. Fanno bene gli agricoltori siciliani che si stanno organizzando tra pale eoliche e comunità energetiche-agricole

Il G7 Agricoltura e Pesca a Siracusa è un pugno in un occhio, un’ulteriore presa per i fondelli a carico di agricoltori e pescatori siciliani

Oggi torniamo sul G7 Agricoltura e Pesca organizzato in Sicilia. Già Mario Di Mauro, nei giorni scorsi, ha illustrato questa manifestazione che ha definito “Sagra dell’Ipocrisia greenwashing“. Non sappiamo se questo forum intergovernativo composto da Canada, Francia, Germania, Giappone, Italia, Regno Unito e Stati Uniti d’America andava organizzato nel nostro Paese. Di sicuro non andava celebrato in Sicilia dove agricoltura e pesca versano in uno stato di pesante crisi. Una crisi della quale, al di là elle minchiate che raccontano, non gliene frega niente a nessuno. Il G7 Agricoltura e Pesca a Siracusa è un pugno in un occhio, un’ulteriore presa per i fondelli a carico di agricoltori e pescatori siciliani. Le responsabilità dello stato disastroso in cui versano agricoltura e pesca in Sicilia sono in minima parte dello Stato e della Regione siciliana (che ormai sono senza soldi) e in massima parte di un’Unione europea truffaldina, che quando precipiterà nell’abisso sarà sempre troppo tardi.

Mentre ad Ortigia blaterano di “biodiversità” e “qualità” fiumi di ortofrutta di pessima qualità trattata Iddio solo sa con quali pesticidi e con quali erbicici continuano a invadere la Sicilia

Alle persone intelligenti la parola “resilienza”, come si usa dire ad Oxford, “sta sulle scatole”, perché la “resilienza” è tipica di chi subisce tutto senza reagire: per esempio, prendendo i forconi per darle in testa a chi, dal 2006, ha riempito l’Italia di grani esteri (duro e tenero) al glifosato e alle micotossine DON. Eppure, anche in quest’occasione, non ci hanno risparmiato la parola “resilienza”. Della serie: la siccità e, soprattutto, una rete idrica colabrodo hanno messo in ginocchio buona parte dell’agricoltura siciliana; il prezzo del grano duro è a 25 euro al quintale con i costi di produzione che sono il doppio del citato prezzo dello stesso grano duro; ad Agosto in Sicilia ha piovuto tanto ma l’acqua manca lo stesso; da Roma non è arrivato alcuno stop al pagamento di mutui, cambiali agrarie e via continuando a carico degli agricoltori; in Sicilia continuano ad arrivare dall’universo mondo fiumi di ortofrutta di pessima qualità trattata Iddio solo sa con quali pesticidi e con quali erbicici; i costi della pesca in Sicilia stanno diventando insostenibili e nelle marinerie della nostra Isola è già iniziata la smobilitazione. Ma voi, agricoltori e pescatori siciliani resistete, resistete, resistete! Si può sopportare una sceneggiata del genere? E cosa fa la politica davanti a questa crisi? Organizza una passerella a Ortigia con le solite organizzazioni agricole tradizionali che gli agricoltori siciliani avrebbero dovuto già abbandonare da tempo e con esponenti del mondo della pesca (ma di quale mondo della pesca?).

Il post di Foodiverso: “Ci risulta invece un munifico stanziamento del governo italiano a favore di Bonifiche Ferraresi, la più grande azienda agricola europea partecipata dai big del capitalismo italiano, per coltivare 38.000 ettari in Tunisia (anche di grano), nell’ambito del famigerato quanto misterioso Piano Mattei

Con sotto gli occhi una manifestazione che in Sicilia assume i contorni del grottesco ci siamo chiesti: ma gli agricoltori siciliani che a Gennaio e a Febbraio di quest’anno protestavano per le strade della Sicilia che fine hanno fatto? E’ la domanda che si sono posti anche i protagonoisti di una pagina Facebook che noi segiiamo sempre con grande attenzione: Foodiverso. “È sorprendente come gli umori dei produttori agricoli siano mutati così repentinamente, evidentemente ci è sfuggito qualcosa – leggiamo in un post di Foodiverso -. Ma il beneficio del dubbio ce lo prendiamo. Ed è un dubbio che pesa come un macigno. A nostra notizia nessuna delle proposte/richieste degli agricoltori è stata esitata, anzi. Non ci risulta ad esempio che sia stata concessa una dilazione nei termini di pagamento di tasse, tributi e contributi per le aziende agricole che hanno visto la produzione decurtata da eventi meteo di portata storica. Di ristori neanche a parlarne. Così come non ci risulta che sia stata messa in atto una strategia finalizzata allo stop delle importazioni selvagge, di grano in primis, tanto invocata dalle aziende cerealicoltrici. Ci risulta invece un munifico stanziamento del governo italiano a favore di Bonifiche Ferraresi, la più grande azienda agricola europea partecipata dai big del capitalismo italiano, per coltivare 38.000 ettari in Tunisia (anche di grano), nell’ambito del famigerato quanto misterioso Piano Mattei. E non ci risulta neanche che siano state messe in opera misure strutturali per la riduzione dei disagi dovuti alla siccità. Si va avanti, quando possibile, per autobotti. Così come non abbiamo riscontro di aiuti concreti o ristori per gli agricoltori delle regioni colpite da alluvioni. Ma probabilmente questi dubbi sono solo il risultato di una nostra cattiva informazione… Probabilmente la concessione di qualche stand, la presenza in qualche convegno o una semplice foto accanto al ministro, hanno convinto molti agricoltori a desistere da qualsiasi forma di protesta che avrebbe avuto in concomitanza di questo evento una eco molto più eclatante dei presidi di trattori posti in strade secondarie. Ma tant’è”.

Anche quest’anno, come nel 2023, in Italia arriverà un fiume di grano dall’Ucaina di ‘ottima qualità’, sempre per salvaguardare “biodiversità” e “qualità”

Proviamo a dare noi qualche spiegazione con le notizie che in queste ultime settimane abbiamo raccolto qua e là. Ci sono agricoltori siciliani che ancora non sanno cosa fare: alcuni, nonostante tutto, hanno seminato il grano duro; altri non hanno seminato. I più informati sanno che sì, in Canada e negli Stati Uniti d’America, a causa del clima, le produzioni di grano si sono ridotte. Non è stato così nelle aree del Mar Nero dove le produzioni di grano sono andate bene e dove, clima permettendo, non si esclude un 2025 con ottimi risultaati produttivi (produttivi: la qualità è un’altra cosa: ma la qualità non interessa alle industrie. ci pensa la televisione a raccontare la ‘bontà’ dei derivati del grano, nascondendo da dove arriva lo stesso grano e l’eventuale presenza di contaminanti). Insomma, per essere chiari, anche quest’anno, come per il 2023, l’Italia sarà invasa da grano ucraino, duro e tenero: ma non ci sembra che la notizia sia arrivata tra i padiglioni di Ortigia Expo DiviNazione-vetrina delle eccellenze italiane… Evviva la ‘qualità’ e l’agricoltura italiana! Detto questo, ci sono agricolotori siciliani che hanno capito l’antifona – ovvero hanno capito che dell’agricoltura della nostra Isola non gliene frega niente a nessuno – e si stanno organizzando per i fatti loro. Vediamo cosa sta succedendo.

C’è chi è disposto a pagare agli agricolotori siciliani 90 mila euro per 2 mila metri quadrati di terreno a seminativo dove piazzare una torre eolica di ultima generazione

Abbiamo notizia, ad esempio, che ci sono aziende che operano nel campo dell’anergia eolica che hanno chiuso contratti con alcuni agricoltori. Sono aziende disposte a pagare 90 mila euro per l’acquisto di 2 mila metri quadrati di terreni seminativi per piazzare una torre eolica di nuova generazione. Quale agricolotore siciliano, oggi, guadagnerebbe 90 mila euro producendo grano? E’ chiaro che siamo davanti a un grande affare. E fanno bene gli agricoltori che accettano questa offerta. Ci risulta che, nel Trapanese, un agricoltore abbia venduto 50 ettari di terreni seminativi al prezzo di 700 mila euro. Qui lo scenario è un po’ diverso rispetto alla vendita di 2 mila metri quadrati. Ma quale sarebbe l’aternativa? Farsi togliere i terreni dai creditori, banche in primo luogo? In questo caso sì che siamo davanti al fallimento integrale della politica siciliana. Interessante anche l’esperienza delle comunità energetiche-agricole. Sono agricoltori che si mettono insieme realizzando serre con i pannelli fotovoltaici sui tetti. Chi acquista l’energia da queste comunità energetiche-agricole deve acquistare anche i prodotti agricoli coltivati in serra. Tra vendita di energia e vendita di prodotti agricoli in serra agli agricolotori deve essere assicurato il reddito che oggi, in tanti casi, non viene assicurato agli agricoltori.

Chiudere l’assessorato regionale all’Agricoltura della Sicilia che oggi non serve più agli agricoltori. Effettuare una verifica sui GAL siciliani scorporando i fondi per l’agricoltura da assegnare direttamente agli agricoltori. I Consorzi di Bonifica debbono essere gestiti dagli agricoltori e non dalla Regione

In chiusura ribadiamo la tesi che portiamo avanti da anni: a nostro modesto avviso, l’assessorato regionale all’Agricoltura andrebbe chiuso, ormai non serve più. Questa branca dell’amministrazione, oggi, gestisce al 90% e forse più fondi europei. Molto meglio fare arrivare i fondi europei direttamente agli agricoltori, senza passare dalla Regione, che fa perdere tempo e storna una parte di questi fondi a soggetti ‘altri’ (pubblicità & clientele varie togliendoli agli agricoltori che di questi passaggi sanno poco o nulla). Va anche avviata un’indagine economica sui GAL siciliani, i Gruppi di Azione Locale dove operano insieme il pubblico e i privati. In Sicilia se ne contano 23. Cosa hanno prodotto fino ad oggi questi GAL per l’agricoltura? Per quello che sappiamo, i fondi pubblici sono stati tanti e i risultati modesti. Se proprio non si può fare a meno di questi GAL, sarebbe opportuno scorporare i fondi per l’agricoltura che vanno erogati direttamente agli agricoltori, senza farli passare dai GAL, diventati potentati dove, di fatto, gruppi ristretti di privati gestiscono fondi pubblici. Sbagliatissimo! Anche sui Consorzi di Bonifica serve una svolta radicale. I vecchi Consorzi di Bonifica pieni di debiti restino pure alla Regione: che se la vedano loro. Gli agricoltori debbono costituire nuovi Consorzi privati, composti dagli stessi agricoltori, con un numero ristrettissimo di personale. I nuovi Consorzi dovranno gestire l’irrigazione, tenendo fuori la Regione e le organizzazioni agricole tradizionali.

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