Facciamo un po’ di chiarezza sui danni che la siccità ha prodotto all’agricoltura siciliana. I problemi si registrano per lo più in alcune aree dell’entroterra e nelle zone di pianura del Catanese

Non tutta l’agricoltura della nostra Isola è stata danneggiata dalla siccità dei mesi scorsi. Il vero problema è che la politica siciliana, a partire dalla cosiddetta Seconda Repubblica, ha abbandonato le dighe artificiali

Abbiamo più volte scritto che la siccità non ha colpito indiscriminatamente tutta la Sicilia. Ci permettiamo di ricordare che quest’anno, nella nostra Isola, le piogge non sono mancate. Oggi, 19 Maggio, piove in tante zone della Sicilia. E domani sono previste altre piogge. Certo, le piogge non sono state uniformi, ma non sono mancate. Ne abbiamo scritto il 5 Maggio (come potete leggere qui), il 7 Maggio (come potete leggere qui), l’1 Maggio (come potete leggere qui) e il 13 Maggio (come potete leggere qui). In Sicilia, da sempre, ci sono aree dove le piogge non mancano e aree dove le piogge sono sempre rare. Non a caso, nella nostra Isola, a partire dalla metà degli anni ’50, sono stati sbarrati i pochi fiumi che ci sono e tanti torrenti e corsi d’acqua per realizzare le dighe artificiali. Non a caso, alla fine degli anni ’80, con lungimiranza, l’allora presidente della Regione siciliana, il democristiano Rino Nicolosi, decise di mettere in collegamento le dighe siciliane, proprio per portare l’acqua dalle zone della Sicilia tradizionalmente ricche di piogge alle zone della nostra Isola con piovisità scarsa. Dai primi anni della Seconda Repubblica fino di oggi la politica siciliana non ha mai completato il collegamento tra le dighe. Anzi, per essere precisi, ha del tutto abbandonato le stesse dighe artificiali.

In buona parte dell’Ennese, in parte del Nisseno, nelle aree pianeggianti della Piana di Catania il grano e i foraggi sono andati in massima parte perduti. Il nodo dei Consorzi di Bonifica

Detto questo, per il grano coltivato nelle aree siciliane colpite quest’anno dalla siccità – buona parte dell’Ennese, buona parte del Nisseno e le aree pianeggianti del Catanese e in parte del Siracusano – non sarebbe stato facile intervenire, anche con il sistema delle dighe siciliane funzionante. In questa zona, per quello che sappiamo, grano e foraggi sono andati perduti. Diverso è il discorso per le colture arboree: per esempio, gli aranceti della Piana di Catania e del Siracusano. Lì pesa l’annoso problema dei debiti dei Consorzi di Bonifica che nessuno vuole pagare. Il problema del Consorzi di Bonifica non riguarda solo la Piana di Catania ma tutta la Sicilia. I debiti dei Consorzi di Bonifica – e scriviamo con cognizione di causa, visto che ci occupiamo di agricoltura dai primi anni ’80 del secolo passato – sono il frutto di scelte dissennate ad opera della politica regionale tra assunzioni in eccesso e retribuzioni più che eccessive per i vertici di queste strutture. Fino al 2016 i bilanci dei Consorzi di Bonifica erano ‘misteriosi’: nemmeno la Commissione Bilancio e Finanze dell’Assemblea regionale siciliana riusciva a visionarli. E’ stato un assessore regionale all’Economia toscano, Alessandro Baccei, a porre fine a questa vergogna. C’è anche un problema impianti di irrigazione vetusti. Ogni anno, bene o male, una soluzione più o meno ‘rattoppata’ da queste parti viene trovata. Speriamo sia così anche quest’anno, perché dalla politica non c’è da aspettarsi molto.

Siccità e zootecnia in Sicilia

Rimane da risolvere il problema degli allevamenti animali che insistono nelle aree della nostra Isola colpite dalla mancanza d’acqua. Grano e foraggi, nelle aree colpite dalla siccità, come già accennato, sono andate perdute. Ma gli animali sono ancora vivi (a meno che alcuni allevatori non abbiamo già deciso di abbatterli). Si può intervenire in favore di questi allevatori? Proviamo a fare un po’ di chiarezza. Va detto che la zootecnia, in Sicilia, si pratica in buona parte nella provincia di Ragusa. Quest’area della nostra Isola è stata colpita solo in minima parte dalla siccità. Inoltre, da sempre la zootecnia ragusana è deficitaria riguardo al fabbisogno necessario a sostenere i propri allevamenti. Gli allevatori di questa provincia sono abituati ad acquistare foraggi e materie prime da altre province siciliane e, soprattutto, da fuori dalla Sicilia. Non a caso Pozzallo è diventato il primo porto siciliano per import di prodotti agricoli e, in generale, di materie prime. Comprare il fieno di erba medica in valloni da 7 quintali lo si è fatto in passato e lo si farà anche quest’anno, peraltro a prezzi abbordabili. Altra realtà di rilievo, per la zootecnia, è la Valle del Tumarrano, che insiste attorno a Cammarata e San Giovanni Gemini, nll’Agrigentino. Da quello che ci risulta la siccità da queste parti non è stata proibitiva. Poi ci sono i cosiddetti allevamenti da contributo, prevalentemente concentrati nel Messinese, dove sostanzialmente gli allevatori lasciano gli animali alla campia nei boschi. Come per il grano, anche per la zootecnia i problemi si riscontrano nell’Ennese e in una porzione del Nisseno, comprese alcune aree che confinano con la provincia di Palermo. Il nostro vecchio amico Ettore Pottino, agricoltore e allevatore, ci conferma che in questi luoghi la siccità ha creato enormi problemi agli allevamenti. A questo punto bisognerà capire se e come interverrà la Regione siciliana. Leggiamo di stanziamenti ma ricordiamo che nella passata legislatura il Governo siciliano si impegnò con gli agricoltori che erano stato danneggiati da un’inondazione ma poi, al vmomento di riscuotere gli aiuti, sè è scoperto che i fondi erano stati drasticamente ridotti. Una beffa.

Foto tratta da Avvenire

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