Con le produzioni musicali hip hop, rap, gangsta rap o trap i giovani di oggi lanciano messaggi che la società deve sforzarsi di capire senza supponenza

di Daniele Quarta

Questi fenomeni musicali sono un enorme megafono di un complessivo quanto drammatico disadattamento giovanile

Uno dei problemi più sentiti dall’attivismo civico e politico attuali è quello di riuscire a coinvolgere il cittadino comune a partecipare direttamente ad un confronto sulla gestione della cosa pubblica nelle forme e nei contenuti previsti dalla Costituzione. Questo perché il cittadino comune si dimostra sempre più disinteressato e distaccato dagli affari sociali che eccedano i confini dei propri interessi privati e familiari. In questo articolo non si vuole analizzare la globalità di tale fenomeno, peraltro già analizzato da diverse voci anche autorevoli, quanto spostare l’attenzione su una parte specifica di tale fenomeno, ossia la forte indifferenza della gran parte dei giovani sui temi e sull’impegno politico.

Ci dobbiamo sforzare per far crescere nei giovani l’interesse per la res publica. Ma prima dobbiamo cercare di capire il loro mondo attraverso la loro musica

L’assenza di interesse dei giovani alla res publica ha qualche elemento di gravità in più rispetto al medesimo comportamento dei cittadini di generazioni precedenti. Con la loro astensione, i giovani perdono un’importante occasione formativa sul civismo, utile a formare futuri cittadini consapevoli, generando così un drammatico gap formativo, sulla futura classe dirigente, difficilmente superabile in futuro. Ma vi è un elemento di ulteriore gravità. Molte decisioni operate dalla politica hanno un pesante impatto futuro sulla vita sociale nel Paese, sono riforme “strutturali” che non hanno il contributo proprio di chi come i giovani è portatore delle maggiori diversificazioni di pensiero, di costume, di interesse e di tendenza nella società. A complicare ulteriormente il quadro, bisogna riconoscere che il disinteresse dei giovani verso la politica si intreccia e si aggiunge a quel distacco generazionale, naturale alla loro evoluzione, che i giovani hanno nei confronti degli adulti, nel sistema valoriale, nelle loro scelte, nei loro gusti ecc..

Accanto all’uso di un nuovo alfabeto esiste anche una richiesta, espressa con diversa modalità, con la quale i giovani chiedono di essere ascoltati, capiti, compresi

Quante volte nel mondo degli adulti ci si chiede dove si nascondano i giovani con i loro pensieri, le loro aspirazioni, le loro emozioni. Si ha la sensazione che siano bravi ad eclissarsi in controtempo rispetto agli adulti, in luoghi dove sia impossibile raggiungerli e all’interno di una commistione di lingue, gergo e stili che sembra alzare uno steccato alla comunicazione intergenerazionale. Ma forse questa è un’analisi troppo superficiale. Forse accanto all’uso di un nuovo alfabeto che ogni generazione conia per sentire affermata la propria identità, esiste anche una richiesta, espressa con diversa modalità, con la quale i giovani chiedono di essere ascoltati, capiti, compresi. Forse è il mondo degli adulti a non fare uno sforzo sufficiente per avvicinarsi al quel mondo giovanile che, lasciato solo, si allontana sempre più. Dobbiamo riconoscere che i cosiddetti “boomer” (gergo con cui i giovani identificano la generazione più adulta), presi da una quotidianità che non lascia più respiro, tendano superficialmente a liquidare questo isolamento giovanile come una naturale fase di crescita adolescenziale, convinti come sono che recupereranno il rapporto con quei giovani, allorquando questi dovranno entrare anche loro nel mondo degli adulti.

Non vi è più luogo o situazione realmente isolata, ovvero che non sia raggiungibile, individuabile o “geo localizzabile”

Credo sia un errore generazionale, per diversi motivi. Le giovani generazione hanno bisogno di confrontarsi con la saggezza di chi li ha preceduti, per compiere un passo di crescita e di evoluzione equilibrato e sano. Inoltre, un’adolescenza che perda la guida e il riferimento di quei valori sociali, costruiti dall’esperienza multigenerazionale, è sicuramente più fragile, più insicura, incerta nella scelta della propria strada che tende a rimandare sempre più negli anni. Inoltre, in questa epoca di complessità sociale, i ragazzi non hanno più le vie di fuga di un tempo. Non vi è più luogo o situazione realmente isolata, ovvero che non sia raggiungibile, individuabile o “geo localizzabile”. Oggi una via di fuga è possibile a patto di avere il coraggio di fare scelte estreme (come ad es. abbandonare tutto ed emigrare). Dunque l’unica via disponibile diventa una fuga surrogata, rimanendo nel luogo dove si è sempre stati, ma dissolvendosi in una assenza di contatto con la realtà, un isolarsi in un mondo immaginario, in forme di aggregazione virtuali, di gruppo, autoreferenziali. Il gesto sociale diventa rituale, simbolico, di moda, e il contatto diventa assente, rifiutato, ritenuto inutile. Quando l’emozione, la sessualità, la creatività, la voglia di emergere prorompono, allora l’agire si manifesta e diventa gesto fisico, eclatante, esibizionista, anche estremo, se non a volte violento, tossico e autolesionista.

La musica dei giovani di oggi non è sottocultura sociale ma un nuovo linguaggio sociale: generi musicali seguiti da una vastissima platea di giovani e giovanissimi, se è vero che alcuni brani hanno raggiunto oltre 10 milioni di visualizzazioni

Queste considerazioni sociologiche non sono le conclusioni di qualche solone universitario che sentenzia dall’alto del suo scranno, quanto la lettura disincantata del messaggio che il mondo giovanile continua a lanciare a chi ha orecchie per ascoltare. Mi riferisco alle nuove produzioni musicali hip hop ed in particolare ai testi delle canzoni rap, o di altri sottogeneri dell’hip hop quali gangsta rap o trap. Questi fenomeni musicali sono un enorme megafono di un complessivo quanto drammatico disadattamento giovanile. Sbaglieremmo se pensassimo che il fenomeno sia confinato a pochi esponenti di una sottocultura sociale, invece è fenomeno assurto a un nuovo linguaggio sociale, tali generi musicali sono seguiti da una vastissima platea di giovani e giovanissimi ed alcuni brani hanno raggiunto oltre 10 mil. di visualizzazioni. Ho voluto passare in rassegna alcuni brani di maggior successo dell’ultimo decennio, e mi sono accorto che non sono testi impegnati di denuncia sociale quanto invece un disperato grido di dolore, impotente e rassegnato, di chi troppo giovane e già disilluso sul proprio futuro.

Il rifiuto dell’attuale società,

Il sentimento di rifiuto della società non come denuncia ma come dolore personale l’ho trovato in un brano emblematico di Nitro (Pleasantville) nel quale canta di sentirsi intrappolato in una vita che non sente propria, e di avere la sensazione di sentirsi fuori posto nella società, nell’amore e nell’intimità. Ma anche uscendo per strada e confrontandosi con gli altri non c’è migliore sorte, nel brano di Frankie Hi-NRG (Quelli che ben pensano) ci si ritrova circondati dagli “arrampicatori sociali”, ovvero persone senza valori dedite solo a moltiplicare i propri guadagni, anche a costo di calpestare i diritti degli altri. Eppure girando lo sguardo non si ha miglior fortuna, vedi solo gente che vive la vita in modo superficiale, avendo una visione ristretta al mero quotidiano (brano di Caparezza, Fuori dal Tunnel). C’è allora chi si propone come modello per i giovani nel denunciare che il mondo “fa schifo” (Marracash, Badaboum chacha) rinunciando alle lusinghe di chi ti “vuole prodotto commerciale”, anche se questo non potrà placarti “la fame”. Non manca chi soffre di un’integrazione sociale negata che denuncia stereotipi e pregiudizi di stampo razziale e sessista (brano di Ghali, Boogieman). Con una eloquente torsione emerge anche una critica allo stesso mondo rap che eredita medesimi disvalori dalla società che critica. È il caso di un inno alla libertà femminile contro un maschilismo tossico, presente nello stesso mondo rap ancora troppo precluso alle donne (brano di Chadia Rodriguez, Bitch 2.0).

Tante storie da scoprire

Il rap è macro mondo musicale che include anche altri generi come l’inquietante gangsta rap (o g-rap) dove si esprimono coloro che si ribellano e lo fanno con gesti estremi in una logica di gang. Qui il testo diventa violento e racconta lo stile di vita delle bande di strada o di idoli criminali su temi come droga, sesso e armi. (brani di: Sfera Ebbasta, Marracash, Guè Pequeno, Paky & Geolier). Incontriamo pure la profferta del bullo al sesso spiccio, da fare senza tante storie, che vuole “scopare come appena uscito di galera” (Lazza, Uscito di Galera). C’è anche il riferimento all’amore ma sempre come sfondo a situazioni o storie “dark”. È il caso di un teppista di una gang che mentre delinque, tra risse sopraffazioni e guadagni illeciti, si consola pensando all’amata (brano di Capo Plaza, Capri Sun). Oppure del figlio di migranti che si fa compagnia con i messaggi di lei, mentre fuori spaccia fino alle ore “sei” (brano di Neima Ezza ft. Rondodasosa, LEI).

I ragazzi hanno capito che siamo co-autori di una società tossica che loro rifiutano

Ecco il quadro di una generazione che vuole dire ma che non sa a chi dire, che vuole essere compresa e si accorge che non esiste più un mondo che sappia accoglierla, che sente di essere venuta al mondo in contro tempo ed in un luogo per sempre straniero. Se abbiamo perso i giovani non è per un distacco generazionale coerente alla evoluzione di una nuova generazione, è che siamo giunti al punto di non ritorno di una società distopica. Sento spesso dire da saggi di dotta ignoranza che dobbiamo riprendere il filo di un dialogo con i giovani e che averlo smarrito è la causa del loro allontanamento. Non vi è nulla di più sciocco e irragionevole di questo. Quello che ci ostiniamo a non vedere e che i ragazzi hanno percepito con lucido istinto, è che siamo co-autori di una società tossica, di una nuova complessità, condannata alla competizione estrema, alla produzione senza fine, una società umanamente compromessa e soggiogata dal dominio delle macchine. Come possiamo tendere una mano ai giovani per includerli in un mondo distopico di cui gli adulti sono gli unici a non farsi capaci? È come voler salvare un naufrago issandolo su una scialuppa che affonda. Distruggendo i valori alla base di una società a dimensione umana, non abbiamo alcuna autorevolezza nel confronto con i giovani, per loro siamo un esempio fallace che tenta di comunicare i disvalori di cui siamo inconsapevoli portatori.

Se vogliamo salvare i nostri giovani da un disadattamento alla società attuale, dobbiamo salvare prima noi stessi da una società sbagliata

Certo possiamo ingannarli i giovani facendo loro credere che il disagio che provano sia endogeno, che può essere curato come una malattia, magari con terapie psicologiche, di disintossicazione, di gruppo. È quello che ripetono molti sociologi e gli psicologi in riviste e canali specializzati. La chiamano “disregolazione emotiva” ed hanno proposto addirittura di usare la musica rap e trap, come colonna sonora della loro epoca, per fare esprimere e dunque sfogare la rabbia ai giovani in sedute terapeutiche. Dobbiamo essere onesti anche se questo può comportare molte delle nostre certezze. Se vogliamo salvare i nostri giovani da un disadattamento alla società attuale, dobbiamo salvare prima noi stessi, prendere consapevolezza della strada che abbiamo intrapreso ed invertire la direzione, avendo il coraggio di costruire nuovi modelli di convivenza socio economica che sappiano rimettere al centro l’uomo ed i suoi valori. Solo dopo aver capito e fatto questo, potremmo rivolgerci ai giovani per comunicare valori veri, ed un progetto di futuro possibile non più oscuro.

Le foto all’interno dell’articolo sono tratte da Wikipedia

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