A Wall Street sapevano del piano per uccidere Trump e c’è chi ha cercato di guadagnarci scommettendo sulla perdita di valore di una nota società del candidato repubblicano alla Casa Bianca

Avevano preparato tutto per giustiziare pubblicamente Donald Trump, così come hanno fatto nel 1963 con John Fitzgerald Kennedy. La ricostruzione degli eventi di Cesare Sacchetti ne La Cruna dell’Ago

A Wall Streat sapevano del piano per uccidere Donald Trump? Leggendo un articolo molto ben documentato di Cesare Sacchetti pubblicato da La Cruna dell’Ago sembrerebbe proprio di sì. Con la forza dei ‘numeri’ ricavati dalla sede della Borsa di New York l’autore di questo approfondimento ricostruisce i giorni precedenti all’attentato e arriva alla conclusione che “qualcosa di estremamente grave sarebbe potuto accadere a Donald Trump” il 13 Luglio; e che questi soggetti “si sono adoperati anche per speculare sui crimini da essi stessi perpetrati”. Nell’articolo si ricorda John Fitzgerald Kennedy, il presidente degli Stati Uniti d’America ucciso a Dallas il 22 Novembre del 1963. “Kennedy – scrive Cesare Sacchetti – aveva intorno a sé dei nemici che lo tradirono a Dallas e lo lasciarono giustiziare pubblicamente in modo da voler mandare un messaggio a tutti i successori che si insediarono alla Casa Bianca negli anni successivi che mai osarono discostarsi dalla volontà del movimento sionista, con l’unica eccezione di Richard Nixon negli anni’70, il quale parlò della infedeltà del mondo ebraico nei suoi confronti per poi essere travolto dalla montatura del Watergate allestita dal suo segretario di Stato, Henry Kissinger“. Il Watergate è stato uno scandalo un po’ singolare per travolgere l’allora presidente Nixon che aveva posto fine alla guerra in Vietnam, cosa che non piaceva affatto alle industrie che producono arni, industria allora come oggi molto florida in America. Quanto a Kissinger, è a tutti noto che è stato uno storico, politico e diplomatico statunitense di origini ebraico-tedesche. (Sopra, foto tratta da Il Foglio)

Nelle due settimane precedenti all’attentato a Trump erano partite massicce vendite al ribasso contro il titolo del gruppo mediatico del candidato alla Casa Bianca, il Trump Media & Technology group

Nell’attentato dello scorso 13 Luglio, leggiamo sempre nell’articolo de La Cruna dell’Ago, “i segnali della cospirazione sembrano essere ancora più evidenti se si dà uno sguardo a quanto accaduto prima del tentato assassinio a Donald Trump… Alcuni profili di X molto attenti al mondo dell’economia e della finanza hanno fatto notare come nelle due settimane precedenti l’attentato a Trump, c’erano degli strani e irrituali movimenti speculativi contro il titolo del gruppo mediatico di Trump, il Trump Media & Technology group. Erano partite delle massicce vendite al ribasso contro il titolo del presidente in una enorme movimentazione di quelle note nel gergo borsistico come ‘put options’ che altro non sono che appunto delle scommesse sulla perdita di un valore di un titolo in Borsa”. Segue un richiamo ai fatti dell’11 Settmbre 2001: “Ai tempi dell’11 Settembre, si mise in moto un meccanismo pressoché identico. Sui mercati in quell’epoca diversi speculatori, la cui identità non fu mai cercata dall’amministrazione Bush né dall’FBI, iniziarono a scommettere al ribasso contro i titoli delle compagnie aeree coinvolte negli attentati di quel tragico giorno settimane prima che gli attacchi alle Torri avessero luogo”

Il ruolo del fondo Austin Private Wealth, vera e propria ‘scatola cinese’

A questo punto Sacchetti cita un dato preciso: “Stavolta lo speculatore ha assunto le forme di un fondo del Texas, l’Austin Private Wealth, che ha piazzato un altissimo numero di scommesse contro il titolo di Trump, ben 120mila opzioni put in quella che è stata indubbiamente una enorme puntata per beneficiare di un eventuale crollo delle azioni della società mediatica del presidente americano”. Difficile risalire ai nomi dei protagonisti di questa speculazione. Ciò che si capisce è che per questi soggetti Trump rappresenta “un ostacolo insormontabile”. Se l’ex presidente Repubblicano USA ricandidato alla Casa Bianca fosse morto ci avrebbero anche guadagnato una montagna di dollari. Questa volta, però, l’eliminazione di un personaggio politico scomodo non è riuscita. Trump si è salvato per miracolo, perché, con molta probabilità, si è spostato una frazione di secondo prima che arrivasse il proiettile che ha colpito l’orecchio. Ma, ribadiamo, hanno provato ad ammazzarlo e l’attentato è fallito per un soffio (qui un nostro articolo). “La congiura dunque non poteva non essere estesa e raggiungere i livelli più alti dell’establishment americano – leggiamo sempre nell’articolo di Casare Sacchetti – che si muovevano già giorni prima sui mercati nella speranza di accumulare grossi profitti dall’operazione che invece ha portato loro enormi perdite finanziarie oltre che politiche”. Hanno provato non solo ad ammazzare Trump ma, come già accennato, anche a guadagnare un sacco di soldi sulla sua uccisione. Invece Trump è vivo e loro hanno perso una montagna di dollari.

Contro Trump sparati almeno 11 colpi da tre armi diverse

Nella parte finale del suo pregevole articolo Cesare Sacchetti arriva alle nostre concusioni: il giovane attentatore, Thomas Matthew Crooks, non poteva essere il solo a sparare. “A Butler – leggiamo ancora nell’articolo – sono stati sparati almeno 11 colpi da tre armi diverse e di questi 11 colpi è probabile che almeno una parte di essi siano stati sparati da un altro cecchino presente nella cittadina della Pennsylvania. I testimoni riferiscono di aver visto partire i colpi contro Trump almeno da un altro punto diverso da quello di Crooks, e per la precisione dalla torre dell’acqua che era distante almeno 200 metri, e dalla quale ha sparato un cecchino probabilmente più esperto di Crooks”. Quando il giorno dopo l’attentato a Trump abbiamo scritto che un ventenne miope con gli occhiali non poteva sparare in modo preciso da una distanza di 150 metri – cosa che possono fare solo i cecchini di professione o i militari – (qui il nostro articolo del 14 Luglio), siamo stati presi per complottisti. Le rivelazioni di Sacchetti, giornalista attento e preciso, ovvero 11 colpi sparati da tre armi diverse, dimostrano che la nostra intuizione a caldo è stata esatta. Il problema, semmai, sta nella disinformazione occidentale che, non a caso, dopo due giorni non ha più parlato dell’attentato a Trump. Professionisti un’informazione completa e, soprattutto, ‘corretta’… Non vi resta che leggere per intero l’articolo de La Cruna dell’Ago (che trovate qui): ne vale veramente la pena.

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