Il grano duro pugliese recupera un euro e mezzo al quintale: quasi nulla. Destano perplessità le soluzioni proposte a cominciare dai contratti di filiera che servono solo a tutelare gli industriali

Si vocifera di colpire solo il grano russo con i dazi doganali. Sarebbe solo un favore ad altri Paesi del mondo che producono ed esportano grano

In Puglia il prezzo del grano duro fino recupera un euro e mezzo al quintale e passa da 32 euro al quintale a 33,5 euro al quintale. Nulla rispetto ai costi di prodizione cresciuti a dismisura. Si vocifera che il Governo nazionale di Giorgia Meloni vorrebbe introdurre i dazi doganali ma non è ancora chiaro se tali dazi doganali colpiranno tutto il grano duro estero che arriva in Italia o solo il grano duro russo per fare un dispetto a Putin. Va da sè che i dazi doganali sul solo grano russo si configurerebbero come una mossa sbagliata, perché servirebbe solo a favorire il grano estero che arriva in Italia da altri Paesi, a cominciare dal grano canadese. La verità è che il governanti italiani, in materia di grano, sembrano più confusi che persuasi. Procedono a tentoni, senza un programma preciso. Il citato aumento del prezzo del grano duro fine – ribadiamo: aumento irrisorio rispetto all’esplosione dei costi di produzione – sembra una mossa concerta: per esempio la ‘materializzazione’ di contratti che fanno lievitare di qualche euro il prezzo. In pratica, fumo negli occhi.

Due i rimedi possibili: dazi doganali su tutto il grano estero che entra in Italia o, in alternativa, non vendere più grano italiano alle industrie italiane

Ancora meno convincenti sono i contratti di filiera. Traditto: la fissazione di un prezzo del grano prima della semina per assicurare agli agricoltori la vendita. Se il prezzo venisse fissato a 70 euro al quintale avrebbe un senso, ma chi propone i contratti di filiera non va mai sopra i 40 euro al quintale (e ci teniamo larghi, chiedendo requisiti del grano che, se non vegono raggiunti, danno a chi acquista il grano la possibilità di ridurre il prezzo dello stesso grano. Si tratta, in pratica, di contratti che – lo ribadiamo – non hanno quasi mai tutelato gli agricoltori. Che fare, allora? L’unico rimedio è stoccare il grano duro e non venderlo se non a prezzi remunerativi: dove per remunerativi si intende prezzi che assicurino agli agricoltori un margine di guadagno. C’è chi potrebbe obiettare: ma allora i produttori di grano duro di Sud e Sicilia rischierebbero di non vendere il proprio prodotto? Sì, è così. Ma gli stessi agricoltori che produdono grano duro, nel caso di prodotto invenduto alle industrie, dovrebbero far sapere ai cittadini italiani che i derivati del grano duro prodotti in Italia, in assenza di grano duro di Sud e Sicilia, verrebbero prodotti solo con grano estero. La rete, oggi, consente di fornire queste informazioni ai cittadini. Vediamo quanti derivati del grano duro venderebbero in Italia sapendo che sono prodotti con grano duro estero… Altra possibile obiezione: tanti agricoltori italiani non coltiverebbero più grano duro. Risposta: è quello che sta già succedendo con i prezzi bassi del grano duro italiano.

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