Vinicio Boschetti: “Vi racconto chi, come e perché alcuni personaggi hanno fatto fallire ‘Il Mediterraneo’. Me ne hanno dette di tutti i colori non capendo che in realtà hanno descritto se stessi”

Tredicesima puntata del volume di Vinicio Boschetti “Giustizia è sfatta”. La lenta agonia di un giornale che, per cinque anni, ha raccontato Palermo e la Sicilia. Nonostante le grandi difficoltà e i tanti bastoni tra le ruote

Con Il Mediterraneo avevamo programmato un’operazione di franchising per andare in edicola a Trapani, a Caltanissetta, a Catania e ad Agrigento. Pensavo di realizzare quello he aveva fatto Parretti con I Diari. Un’operazione editoriale che mi avrebbe permesso di aumentare il numero delle copie vendute grazie, appunto, alle edizioni provinciali. Il progetto si rivelò un flop, perché gli affidatari provinciali chiusero i battenti creando un danno di immagine e un danno economico che oscillava da 150 a 200 milioni di lire. Sempre in quel periodo la rotativa andò in tilt. Anche se non ero amministratore del giornale mi sono occupato per trovare una soluzione. Le alternative erano due: o chiudere il quotidiano, o rivolgermi a un tipografo esterno. Ci siamo rivolti alla tipografia del giornale L’Ora, che era gestita da Gaetano Sanseri. Operazione che costò un esborso secco di circa 200 milioni di lire. Nonostante le difficoltà siamo andati avanti fin quando abbiamo potuto. Nel frattempo arrivavano altre realtà, cioè nuovi quotidiani. Prima è arrivato Giuseppe Ciarrapico con il quotidiano Oggi Sicilia. Poi Il Corriere del Mezzogiorno e, infine, l’edizione di Palermo de la Repubblica. Ci sono altri retroscena squallidi, se è vero che la redazione de la Repubblica di Palermo si è presa quasi tutti i giornalisti del Mediterraneo.

La storia de Il Mediterraneo è soprattutto la storia di un editore puroche ha dobuto affrontare mille ostacoli a causa, anche, se non soprattutto, delle persone sbagliate delle quali si è circondato

Il commendatore Carbone mi aiutò di nuovo: mi fece entrare nel pool de la Repubblica e di Finegil per acquisto della carta in Canada, e mi fece entrare nella distribuzione con la Repubblica presso Aenne press facendomi risparmiare 10 milioni. Nel frattempo i giornalisti che avevano lavorato al Mediterraneo per farsi belli con il quotidiano la Repubblica attaccavano il massone e truffatore Boschetti. Pensando di descrivere me, in realtà descrivevano se stessi. Persone che hanno sputato nel piatto dove hanno mangiato per oltre cinque anni. In quei giorni, una sera, incontrai Giulio. Gli dissi: “Avevi ragione”. Mi rispose con un secco “No comment”. Nonostante questo Il Mediterraneo ha resistito per altri due anni, cambiando direttore, senza riuscire a trovare l’identità che serviva in un momento di grande difficoltà. Carbone mi mise in contatto con Adrea Riffser, editore dei quotidiani Il Giorno, La Nazione e Il Resto del Carlino. Così ho fatto il panino a Extra. Un palermitano vinse una grossa auto messa in palio da Extra per il lancio del giornale Ad aggravare la situazione è intervenuta infine l’inadempienza contrattuale della società Meditalia di Sergio Montalto ed Enzo Grimaldi alla quale era stato affidato l’incarico di raccogliere la pubblicità. La vicenda ha dato luogo a un contenzioso legale dal quale viene fuori che la società Edizioni locali risulta creditrice nei confronti di Meditalia di circa 300 milioni di lire regolarmente riportati nei bilanci societari. Altri problemi li ha creati il distributore del giornale, Ania, che, a fronte di un finanziamento iniziale di 200 milioni di lire, come ho già ricordato, ha imposto di affidare alla sua società, Ania Giovanni snc, la distribuzione del quotidiano all’oneroso canone di 13 milioni di lire al mese (più IVA). In realtà, Ania non ha creato una struttura ad hoc per distribuire Il Mediterraneo, ma si è avvalso dei suoi mezzi per fare arrivare il giornale alle edicole. Un servizio che lasciava molto a desiderare, perché il giornale, quando andava bene, arrivava nelle edicole alle 9 e 30 del mattino, con enorme ritardo rispetto agli altri quotidiani. Cosa, questa, che riduceva le vendite. Quando abbiamo cambiato il distributore del giornale, firmando un nuovo contratto con ANNE PRESS, abbiamo scoperto che il precedente contratto era una fregatura. Con ANNE PRESS, infatti, il giornale arrivava in edicola alle sei del mattino e il costo mensile che pagavamo era di 3 milioni più IVA. Poiché mi ero sobbarcato l’onere di distribuire il giornale, ho liquidato con 50 milioni Ania firmando dei pagherò. Non ho potuto pagarli e Ania mi fece un pignoramento dei mobili di casa. Poi a poco a poco sono stato costretto a pagare.

Per un pugno di soldi hanno fatto fallire un giornale che era a un passo dall’acquisizione dei fondi pubblici per l’editoria previsti dalla legge

Per concludere il racconto de Il Mediterraneo bisogna fare un cenno alla legge sull’editoria. E’ una legge alla quale attingevano quasi tutti i giornali, chi più chi meno. L’importante è adempiere alle prescrizioni di legge che, come proverò a illustrare, sono cambiate nel corso degli anni. Semplificando al massimo, va detto che l’apertura di un quotidiano era sempre una scommessa: bisognava riuscire ad andare in edicola per il tempo sufficiente per andare a regime con i contributi dello Stato. Se le perdite non erano eccessive, l’intervento dello Stato ripianava le perdite e si andava avanti. Parliamo di editori che erano anche industriali, mentre io sono sempre stato un editore puro. Era una legge tutto sommato giusta, che il Legislatore ha messo in campo per garantire la pluralità di informazione. Nel caso de Il Mediterraneo i termini temporali erano definiti dalla legge nazionale n. 416 del 1981 e dalla successiva legge nazionale n. 250 del 1990. Quest’ultima legge era stata modificata dalla Legge Finanziaria dello Stato del 1999, che avrebbe portato nelle ‘casse’ de Il Mediterraneo un miliardo e 200 milioni di lire all’anno. A questi fondi si aggiungeva una cifra pari ai ricavati dalle vendite e dalla pubblicità. Cifra che Il Mediteraneo aveva raggiunto. Va detto che la legge Finanziaria del 1999 modificava la legislazione del settore, assegnando i contributi non più a tutti gli editori ma ai quotidiani dei partiti politici e a cooperative costituite da almeno cinque anni. Acquistai una cooperativa editoriale per 20 milioni alla quale ho cambiato il nome, trasformandola nella cooperativa La Voce del Mediterraneo. Tutto a norma di legge. rientravamo perfettamente nelle previsioni di legge. Nel frattempo è intervenuto il fallimento della società editrice Edizioni locali. A questo punto c’è stato un corto circuito con la curatela fallimentare. Il curatore fallimentare, forse per scarsa familiarità con la materia editoriale, non ha risposto alla richiesta della cooperativa La Voce del Mediterraneo, che chiedeva di ridurre l’affitto della testata da 5 milioni di lire a un milione di lire. Se tale richiesta fosse stata accolta si sarebbero ottenuti due risultati importanti sul piano finanziario: i benefici della legge sull’editoria che avrebbero abbondantemente ripianato il passivo e, in secondo luogo, il mantenimento in vita della testata, che avrebbe potuto essere venduta a possibili acquirenti, che non mancavano. Non c’è stata alcuna condotta fraudolenta, ma solo il legittimo tentativo di intercettare i fondi nazionali della legge sull’editoria che abbiamo perso non certo per nostre responsabilità. Nel giornale non contavo nulla, i miei figli vennero denunciati per aver fatto una copertina dei Pokemom, dissero che mancava il copyright. Vennero sequestrate le buste che mio figlio mandava in edicola con la sua attività. Si scatenò una campagna di stampa contro di me e la mia famiglia. Scrivevano tutti di noi: la Repubblica, il Giornale di Sicilia e anche Il Mediterraneo. Mio figlio venne multato. Siccome è una testa dura come me, fece appello è portò tutti i giornali che avevano fatto copertina. Venne assolto dopo 6 anni ma ha perso un mare di soldi.

“Se l’articolo su Irene Tagliavia è stata una pagina nera del giornalismo siciliano, il fallimento del mio giornale è stato una pagina nera della Giustizia a Palermo”

Dopo questi fatti ho cominciato ad avere sfiducia della Giustizia. E dire che Il Mediterraneo ospitava spesso l’allora procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Palermo, Giancarlo Caselli; in redazione ogni tanto veniva il generale dei carabinieri Giorgio Piccirillo (grazie a lui colleziono calendari dei Carabinieri da 30 anni ). La verità è che il fallimento della società editrice de Il Mediterraneo si poteva e si doveva evitare. Quando hanno dichiarato fallita la società aspettavamo il pagamento di 300 milioni di lire di introiti pubblicitari, anche se in parte anticipate dalla Banca Nazionale del Lavoro per 80%. Ci sarebbero stati dei ritardi per incassare questi soldi, ma i soldi sarebbero arrivati. Invece hanno preferito fare fallire la società. Di fatto, hanno fatto fallire un giornale che aveva solo qualche problema con la CASAGIT risolvibilissimo. Una vergogna. Se l’articolo su Irene Tagliavia è stata una pagina nera del giornalismo siciliano, il fallimento del mio giornale è stato una pagina nera della Giustizia a Palermo. E che dire dei giornalisti che sono andati a la Repubblica? Carmelo Lo Papa si presentò con suo padre finanziere. Aveva siglato un accordo al 60% e voleva il 40% dei soldi. Gli risposi che mi avrebbe dovuto dare i tre mesi di preavviso prima di andare a lavorare per la Repubblica. Sparirono lui e suo padre. E che dire di un’altra giornalista assunta da Francesco Terracina? Qualche tempo fa ha scritto di aver lavorato in un giornale “abusivo“ senza fare il nome de Il Mediterraneo. Che piccole persone!

“Non ho nulla da rimproverarmi. Sono altri che dovrebbero farsi un bell’esame di coscienza, se è vero che per il loro narcisismo, hanno posto fine a un’esperienza importante”

Ribadisco: pur con tutti i limiti, Il Mediterraneo ha fatto lavorare tanti giornalisti per oltre cinque anni; per cinque anni abbiamo pagato tutti. I problemi economici sono cominciati quando la redazione ha iniziato una guerra contro il Comune di Palermo. Abbiamo affrontato anche problemi gravissimi, creati da una redazione di narcisi. Se avessi dato retta a Giulio le cose non sarebbero andate così. Ho sbagliato. Detto questo, se non fosse intervenuto il fallimento il giornale non avrebbe chiuso. E anche con la società Edizioni locali dichiara fallita ci saremmo salvati se solo il curatore fallimentare avesse avuto dimestichezza con le leggi sull’editoria. Non ho nulla da rimproverarmi. Sono altri che dovrebbero farsi un bell’esame di coscienza, se è vero che per il loro narcisismo, hanno posto fine a un’esperienza importante. Bisogna citare anche l’insensibilità del pubblico ministero Scarfò, la Finanza e i curatori fallimentari. In effetti questi ultimi li devo ringraziare, perché hanno sempre dichiarato e scritto: “Boschetti non c’entra nulla con l’amministrazione del giornale”.

Foto dei narcisi tratta da Wikipedia

Fine tredicesima puntata/ Continia

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