Le memorie della mafia nel libro di Giovanni Brusca occasione per parlare dell’attuale modello di antimafia classista tra laute elergizioni e antimafia francescana ignorata

di Andrea Piazza

E’ giusto divulgare un libro del genere?

Questa mattina sfogliando le pagine dell’edizione di Palermo del la Repubblica ho letto con estremo interesse l’articolo di Pasqua Seminara dal titolo “Il libro su Brusca e la strana antimafia con la B maiuscola”. Volendo prendere posizione in merito come familiare di vittima di mafia che, dalla B in articolo, potrei passare come tanti nella qualità all’ultima lettera dell’alfabeto, la Z, posso serenamente ascrivermi tra coloro contrari alla divulgazione pubblica del libro dal profilo criminogeno. Da un lato critico la scelta di Giuseppe Siviglia, Sindaco di San Giuseppe Jato, per avere inconsapevolmente favorito l’accensione dei riflettori sulla vita da sanguinario di Giovanni Brusca, perché dovrebbe restare un precetto delle istituzioni pubbliche tutte comminargli la damnatio memoriae. Ma sotto un altro profilo (senza necessità del soccorso pubblico) non metto in dubbio che la lettura del Brusca-pensiero potrebbe essere funzionale e pedagogica, perché potrebbe agevolarci nella decodificazione dei complessi meccanismi generatori dell’origine del male che hanno alimentato Giovanni Brusca & Company.

Manca un’autocritica connessa al mondo dell’antimafia sociale che, dopo le stragi del 1992, è stato rimpinguato a suon di milioni in modalità helicopter money

Fermo restando che la scelta territoriale è manifestamente inopportuna per tatto, senza andare lontano il mio pensiero si sofferma ad un’amica che ho assistito in giudizio, Carmela Aiavolasit, o indirettamente a Carlo e Anna Genova, ai quali è stato restituito il corpo del fratello che era stato occultato in contrada Feotto, nelle campagne di San Giuseppe Jato. Nell’analisi puntuale dell’articolo pubblicato su la Repubblica che ho letto ed apprezzato, latita a mio giudizio uno spunto di approfondimento rilevante. Un’osservazione interna ed autocritica connessa al mondo dell’antimafia sociale che, dopo le stragi del 1992, è stato rimpinguato a suon di milioni in modalità helicopter money. Come sempre guardiamo il peccato senza addentrarci al rovescio della medaglia. In qualità di fautore e sostenitore dell’ANTIMAFIA FRANCESCANA (no elargizioni pubbliche con diritto di utilizzo temporaneo dei beni pubblici in favore di Associazioni e Fondazioni e vendita in via ordinaria del patrimonio confiscato alla mafia) continuo a riscontrare la persistenza di uno iato (per restare a tema) di un modo di fare antimafia discriminatoria tra chi può e chi non può, inconciliabile con lo spirito e le aspettative etiche.

Mentre si continua con le elergizioni pubbliche a un certo modello di antimafia, il progetto di un marciapiedi della memoria da realizzare a Palermo per ricordare tutte le vittime della mafia rimane nelle ‘sabbie’ del Consiglio comunale

Ancora oggi, siamo noi tutti vittime di un modello antimafia errato, discriminatorio e classista: da un lato viviamo la realtà della casta dei patrizi dell’antimafia adeguatamente supportati dalla politica di secondo livello “purista dell’etica”, pronta ad interagire come un bancomat di Stato con la leva delle elargizioni pubbliche (in oltre trent’anni abbiamo visto scorrere fiumi di milioni di euro con l’aggravante assorbente della non rendicontazione;) dall’altro lato i parenti poveri, la classe plebea in maggioranza dell’antimafia che, pur non disponendo delle leve pubbliche, in verità alimentano la fiammella della speranza, dimostrando che si possono raggiungere e superare gli stessi risultati in concreto, non piegandosi alla logica degli interessi economici di una sorte di antimafia industriale. Ancora oggi, nella nostra città di Palermo, capitale anche della mafia “siculo americana” l’idea progettuale supportata da una mozione che tra l’indifferenza giace in attesa della discussione al Consiglio Comunale https://drive.google.com/file/d/1JROqd7HUnVgrgCw_Nv0irogh1uXo09fu/view?usp=drivesdk per deliberare e dare esecuzione all’idea progettuale finalizzata alla realizzazione dei marciapiedi in memoria di tutte le vittime uccise dalla mafia in Sicilia, facendolo diventare al contempo un luogo identitario, impreziosito dalle maioliche siciliane e dai pannelli in pietra lavica ceramizzata per tramandare i momenti più importanti della storia siciliana.

Ma alla fine perché il modello di Antimafia francescana è così inviso al sistema di potere?

È in tutta sincerità sconfortante l’avere riscontrato l’indifferenza istituzional-politica, avere relegato all’idea progettuale al ruolo di cenerentola, inutilmente rincasata dopo la mezzanotte. Sarebbe l’idea per rimodulare senza manie di protagonismo la nostra storia recente che ha turbato le nostre esistenze con il fine accessorio di eliminare il sistema delle caste antimafia, realizzando un luogo comune per NOI tutti (ispirandosi alle logiche del dolore collettivo e non su altre miserie umane ). Ritornando all’articolo in commento che mi ha ispirato a dire la mia, ebbene, a mio modesto avviso manca un ingrediente di lievitazione, riconducibile al profilo dell’espiazione collettiva (non certo di Giovanni Brusca) che ci proietta alla massima di Pietro Nenni: “Gareggiando a fare i puri troverai sempre uno più puro che ti epura”. In buona sostanza, come sempre, nell’articolo manca la critica cardine con punto osservazione dietro le quinte (il rovescio della medaglia) l’illegalità diffusa nell’antimafia che, per Vox populi, rappresenta il peggio del peggio. Così abbiamo l’anticristo, una modalità farisaica dei tempi moderni con la quale, senza pudore, si guardano e si giudicano gli altri per non guardare se stessi allo specchio. In conclusione ci dovremmo chiedere sul perché il modello dell’ANTIMAFIA FRANCESCANA è invisa a tutto il sistema di potere: forse perché è il volto apparentemente presentabile del SISTEMA medesimo?

Nella foto sopra, Andrea Piazza e Frate Domenico Spatola

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