Quando nel 1838 gli inglesi cercarono di impadronirsi degli zolfi siciliani che gli servivano per le loro navi da guerra. Ma trovarono la fiera opposizione di Ferdinando II di Borbone

Oggi andremo un po’ indietro rispetto al 1860-1861. Per raccontare i soliti, prepotenti inglesi, che allora pensavano di trovare certi politici siciliani di oggi pronti a svendere la Sicilia. Invece il Borbone difese a spada tratta la nostra Isola: l’esatto contrario di quanto fatto dall’Italia dal 1860 ad oggi

Oggi quarta puntata del nostro ‘viaggio’ tra i falsi eroi del Risorgimento in Sicilia. In realtà, andremo un po’ indietro nel tempo rispetto al 1860-1861, quando il Sud e la Sicilia, con la regia degli inglesi, entrarono nella ‘prigione’ chiamata “unità d’Italia”: unità solo sulla carta, se è vero che, ancora oggi, il Sud e la Sicilia vengono trattate come colonie italiane da sfruttare. Oggi proveremo a valorizzare un sito che purtroppo non è più in rete: www.regnodeleduesicilie.eu. Riporteremo alcuni passi di saggi che abbiamo in parte valorizzato su I Nuovi Vespri nel 2019. In particolare, citeremo Erminio De Biase e il suo saggio L’Inghilterra contro il Regno delle Due Sicilie, Controcorrente Edizioni, pag. 21, 23, 24, 119; e Domenico Capecelatro Gaudioso nel suo saggio Ottocento Napoletano. Argomento: la questione degli zolfi nella Sicilia nel 1830 circa. In quegli anni gli inglesi si consideravano i padroni del Mare Mediterraneo, che nella loro testa di imperialisti fino al midollo, non era altro che “un grande lago inglese” (la definizione è del grande Giuseppe ‘Pippo’ Scianò, che è stato un grande protagonista del movimento poer l’Indipendenza della Sicilia, autore di scritti straordinari (qui un articolo).

Così come oggi l’Unione europea fa crollare il prezzo del grano duro per trasformare i campi di grano duro in immense distese di pannelli fotovoltaici, gli inglesi, nel 1838, fecero crollare il prezzo dello zolfo per far fallire i titolari delle miniere siciliane e impossessarsi della zolfo della nostra Isola

Cominciamo con Domenico Capecelatro Gaudioso: “Ben più grave e più nota fu la questione degli zolfi siciliani, il cui commercio – leggiamo in un passi del suo saggio Ottocento Napoletano – fino al 1838, era stato libero, per cui molti inglesi erano divenuti proprietari di solfatare. Gli inglesi, allo scopo di instaurare un monopolio nel commercio stesso, si unirono in trust, creando così, una grande, unica e ricca società inglese, in maniera d’avere la possibilità di aumentare lo sfruttamento del minerale in proporzione superiore alle richieste, per cui il prezzo dello zolfo sul mercato calò vertiginosamente, con grave danno dei piccoli proprietari di solfatare, che vennero a trovarsi in una critica situazione. Un Re, un vero Re (e Ferdinando II lo era) a questo punto aveva il dovere di salvaguardare gli interessi dei suoi sudditi che, in casa loro, rischiavano il fallimento a causa delle speculazioni da parte di commercianti di un’altra nazione che tutto inquadrava in un’ottica imperialistica e che mal tollerava opposizioni ai suoi interessi politici ed economici: l’Inghilterra… Lo stesso Governo (Borbonico, che istituì di conseguenza il monopolio statale sull’estrazione del minerale, n.d.scr.), aveva risposto picche alla richiesta di abolizione del monopolio statale e, logicamente, non aveva alcuna intenzione di aderire alla richiesta dell’immancabile (e ti pareva) risarcimento danni. La Gran Bretagna non volendo riconoscere quanto fossero assurde, arroganti ed in mala fede le sue pretese, conscia della circostanza d’essere nella disputa la più forte, inviò nelle acque territoriali di Napoli e Sicilia una squadra navale da guerra, con l’incarico di procedere alla cattura di tutte le navi napoletane, dirottandole nel porto di Malta, minacciando che il rilascio del naviglio catturato sarebbe avvenuto soltanto quando Napoli si fosse decisa a risolvere il contratto stipulato (nel frattempo, n.d.scr.) con la compagnia francese e all’avvenuto pagamento dei danni di cui erasi fatto cenno nella nota diplomatica inglese. Giunta nella rada di Santa Lucia la flotta inglese Ferdinando II, anziché dimostrarsi intimorito, decretò l’armamento delle coste, l’istituzione di un campo militare presso Reggio Calabria, un vasto richiamo alle armi e l’immediato invio di dodicimila uomini in Sicilia, preparandosi a partire egli stesso, poiché, e non a torto, sospettò che gli inglesi, che segretamente avevano sempre nutrito il proposito, dopo aver creato appositamente il casus belli, d’impadronirsi della Sicilia, avrebbero approfittato della circostanza per concretizzare i loro propositi…”.

Questo spiega perché gli inglesi, nel 1860 in barba al Diritto Internazionale, si sbarazzarono del Regno delle Due Sicilie

I Borbone – scrive Erminio De Biase – caddero, dunque, soprattutto per volere della Gran Bretagna, ma caddero in piedi, nulla potendo contro un vero e proprio intrigo internazionale. L’ultimo Re di Napoli potè portare nel suo silenzioso esilio, a cui la storia lo costringeva, solamente la sua decorosa tristezza, la sua, forse eccessiva, nobiltà d’animo e la dignità di tutta una dinastia, dignità che gli usurpatori di Casa Savoia non conosceranno mai.

L’imbarco dello zolfo nel Porto di Porto Empedocle (foto tratta da reportagesicilia.blogspot.com) 

Lascia una risposta

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *