I discepoli dubitano di Gesù, i capi dei giudei lo attaccano. Ma la risposta non dà spazio ai dubbi: “Io sono il pane disceso dal cielo”

di Frate Domenico Spatola

Commento al Vangelo della XIX Domenica del tempo ordinario (anno B): Giovanni 6, 41-51

Tutti mormoravano contro Gesù. Era il verbo della idolatria. A rifiutare le sue parole saranno un po’ tutti, folla e discepoli, ma soprattutto i capi. Li scontentava per la sua dichiarata “condizione divina”. Aveva infatti detto: “Io sono il pane disceso dal cielo”, dove “Io sono” lo identificava con “Iahvè”, tetragramma divino. Per le autorità religiose assimilare l’uomo a Dio era bestemmia, malcelava tuttavia la furbata di mediare essi stessi la distanza. Provarono a delegittimarlo, riconducendo la  dichiarazione di “Figlio di Dio”, alla più familiare condizione del “figlio di Giuseppe e di Maria”. Gesù, tagliando corto, dettò il  criterio unico funzionale per riconoscerlo e accoglierlo. Necessario era identificare “Dio come Padre”. Avrebbero compreso il Figlio che compiva le stesse opere a favore dell’umanità. Ma i capi giudei, che agivano come tanti politici nel mondo, miravano ai propri interessi. L’amore che invece comunicava Gesù era “eterno”, perché veniva dal Padre, assicurando vita eterna, che la morte non può distruggere. Obiettarono evocando i padri che avevano mangiato la manna nel deserto. Non perfezionarono tuttavia la frase, che Gesù si premurò, in dissenso, a completare: “e morirono!”. Fu infatti il grande fallimento del l’esodo, e l’evocazione risultava scottante. Gesù perciò ripropose l’offerta: “Se uno mangia di questo pane, vivrà in eterno”. Fu anche un avvertimento, e aggiunse che “quel Pane è la sua Carne”.  In lui tutti i doni  divini infatti si manifestano nella debolezza della nostra umanità.

(Pubblicato da Luigi Natoli edito da I Buoni Cugini editori alle 01:14 )

Foto tratta da InCammino

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